Ma sei sicuro? Sembra un libro decisamente impegnativo, fin dal titolo: La scienza va a teatro. Com'è che la scienza può stare su un palcoscenico, sotto le luci di scena, davanti al pubblico di una platea?
Fidatevi, fate come me. Anch'io avevo qualche dubbio all'inizio, ma poi questo libro me lo sono trovato sotto gli occhi, ho cominciato a sfogliarlo, sono arrivato alla prima opera: Lucrezio, l'autore del De Rerum Natura, la sua storia che è insieme ragione e follia. Vado avanti: Pascal, quello della scommessa, genio matematico e fede. Babbage, l'uomo che concepi l'idea della macchina calcolatrice, quasi un visionario. Einstein, lo scienziato per antonomasia nel nostro immaginario, solo che la fisica non basta a riscattare un'intera vita.
Potrei già essere contento così. Ma ecco una commedia su un trapianto di cervello, che richiama quanto può essere richiamato intorno temi dell'identità - con un filo robusto di umorismo, che non guasta mai. Ecco Farm Hall e la storia degli scienziati tedeschi che lavorarono per l'atomica di Hitler - o forse no, forse fecero in modo che Hitler non avesse l'atomica - in pagine in cui la scienza è in primo luogo la responsabilità dello scienziato.
Basta? Non aggiungo altro, se non per dire che sì, la scienza può andare a teatro e può anche starci decisamente bene. Può farlo e in realtà lo ha fatto anche in passato, ricordiamoci di Bertold Brecht e della sua Vita di Galileo. Può farlo se prima sta nella penna di un autore come Giuseppe O . Longo, che è uomo di scienza a tutto tondo, scienziato ma anche divulgatore, scienziato ma anche uomo di eccellenti letture e ottima scrittura.
Può farlo se non intende fare di un teatro un'aula per la didattica, se non si contenta del linguaggio dei saggi scientifici, perché a teastro non si annuncia, non si spiega, non si dimostra. A teatro può andare in scena il dramma della scienza, l'umanità della scienza: la gioia della scoperta e la delusione del fallimento, le passioni, le speranze e le sconfitte, la fatica del lavoro e le distrazioni della quotidianità.... Tutto ciò, insomma, che di un uomo fa uno scienziato, di uno scienziato un uomo.
Ci vuole arte, per raccontare la scienza così. Ci vuole uno scrittore come Giuseppe O. Longo, che non sceglie a caso nemmeno una parola.
Fidatevi, fate come me. Anch'io avevo qualche dubbio all'inizio, ma poi questo libro me lo sono trovato sotto gli occhi, ho cominciato a sfogliarlo, sono arrivato alla prima opera: Lucrezio, l'autore del De Rerum Natura, la sua storia che è insieme ragione e follia. Vado avanti: Pascal, quello della scommessa, genio matematico e fede. Babbage, l'uomo che concepi l'idea della macchina calcolatrice, quasi un visionario. Einstein, lo scienziato per antonomasia nel nostro immaginario, solo che la fisica non basta a riscattare un'intera vita.
Potrei già essere contento così. Ma ecco una commedia su un trapianto di cervello, che richiama quanto può essere richiamato intorno temi dell'identità - con un filo robusto di umorismo, che non guasta mai. Ecco Farm Hall e la storia degli scienziati tedeschi che lavorarono per l'atomica di Hitler - o forse no, forse fecero in modo che Hitler non avesse l'atomica - in pagine in cui la scienza è in primo luogo la responsabilità dello scienziato.
Basta? Non aggiungo altro, se non per dire che sì, la scienza può andare a teatro e può anche starci decisamente bene. Può farlo e in realtà lo ha fatto anche in passato, ricordiamoci di Bertold Brecht e della sua Vita di Galileo. Può farlo se prima sta nella penna di un autore come Giuseppe O . Longo, che è uomo di scienza a tutto tondo, scienziato ma anche divulgatore, scienziato ma anche uomo di eccellenti letture e ottima scrittura.
Può farlo se non intende fare di un teatro un'aula per la didattica, se non si contenta del linguaggio dei saggi scientifici, perché a teastro non si annuncia, non si spiega, non si dimostra. A teatro può andare in scena il dramma della scienza, l'umanità della scienza: la gioia della scoperta e la delusione del fallimento, le passioni, le speranze e le sconfitte, la fatica del lavoro e le distrazioni della quotidianità.... Tutto ciò, insomma, che di un uomo fa uno scienziato, di uno scienziato un uomo.
Ci vuole arte, per raccontare la scienza così. Ci vuole uno scrittore come Giuseppe O. Longo, che non sceglie a caso nemmeno una parola.
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