mercoledì 12 febbraio 2014

12 febbraio: ricordando i morti dell'Oria, 70 anni fa

È meraviglioso, questo mare.

I suoi colori, le sue onde come un respiro universale. Come un  sospetto di eternità.

L'Egeo, cioè gli dèi dell'antica Grecia. E i versi di Omero: le acque color del vino – del vino,  non del sangue.

L'Egeo che per uno della mia età sono anche le vacanze da sballo, i viaggi sul ponte del traghetto, chitarre e sacchi a pelo, i bicchieri di troppo e gli amori che svaniscono con l'estate.

L'Egeo che per forza mi rammenta un film di Gabriele Salvatores, la sua storia di soldati italiani tralasciati dalla guerra, su un'isola non distante da Rodi, un'isola che esiste solo nella fantasia di chi in Grecia verrà solo per agosto, parecchi anni più tardi. Perché solo nella fantasia esiste una storia così: la guerra non dimentica, la guerra non lascia in pace i soldati.

L'Egeo che può essere un sogno, un'utopia, una possibilità di fuga. Ma certo può essere anche tremendo.

Mare di tempesta, mare senza pietà.

Mare di morte già nel nome: Egeo e il suo mito.

Il re di Atene che dalle scogliere attende il ritorno del figlio Teseo. Vele bianche se avrà sconfitto il Minotauro, nere se è stato ucciso. E sono nere le vele, vai a sapere perché. Teseo è vivo, ma il vecchio si getta in mare e il mare da quel giorno sarà l'Egeo.

Mare tremendo, mare di morte. Mare che spesso pretende in tributo i figli piuttosto che i padri. 

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