Combatteranno con me tutti i dolori e tutte le miserie d'Italia.
Combatteranno e non riusciranno a imporre la loro verità, a manifestare la fame di giustizia di questo nostro paese. Combatteranno per andare incontro, quasi sempre, a disastri annunciati e a belle morti buone per il ricordo di chi verrà. Allo stesso modo dell'uomo che quelle parole le ha pronunciate, in una sorta di testamento che riguarda tutti noi.
Avevamo bisogno di una buona penna che ci ricordasse chi è stato Carlo Pisacane, che ci raccontasse di come è morto e prima ancora di come è vissuto questo ufficiale borbonico che le bizzarrie della storia ci hanno consegnato come il primo socialista italiano. L'abbiamo trovata, la buona penna intendo, in Emilia Sarogni, scrittrice che da tempo ci consegna personaggi che meritano attenzione e gratitudine.
L'amore. L'Italia. Il socialismo. Questo è il sottotitolo della biografia pubblicata per le edizioni Spartaco. Tre parole che sembrano poter contenere una vita che invece, nei pochi anni a disposizione, tentò sempre di oltrepassare ogni confine dettato dalle convenienze e dal conformismo.
Emilia Sarogni questa vita la dipana con il rigore di studi scrupolosi, ma anche con la passione di chi sa che ha una grande storia da narrare, un personaggio che meriterebbe un romanzo definitivo. E no, non cede alla tentazione del romanzesco, agli effetti speciali. Semplicemente mostra, lascia che gli eventi parlino da soli.
E così ecco che in qualche modo ci siamo anche noi, a fianco di Carlo Pisacane. Magari mentre fugge da Napoli, non per una cospirazione fallita ma per amore della sua Enrichetta. Eccolo, mentre va incontro al suo destino, alla mattanza che più tardi entrerà nei versi della spigolatrice di Sapri - Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti!
E quasi non si vorrebbe proseguire per quelle pagine che raccontano di una sconfitta già scritta, di una morte fin troppo messa in conto, di una solitudine insopportabile, magari anche di quell'ultimo atto di generosità, l'ordine di non sparare sui massacratori.
Quasi non si vorrebbe proseguire, tranne poi congedarsi con un pensiero che può essere anche un impegno: farà bene al nostro paese far conoscere Carlo Pisacane, raccontarlo ai ragazzi, nelle scuole, spiegare loro che non è solo un monumento, il nome di una strada.
Combatteranno e non riusciranno a imporre la loro verità, a manifestare la fame di giustizia di questo nostro paese. Combatteranno per andare incontro, quasi sempre, a disastri annunciati e a belle morti buone per il ricordo di chi verrà. Allo stesso modo dell'uomo che quelle parole le ha pronunciate, in una sorta di testamento che riguarda tutti noi.
Avevamo bisogno di una buona penna che ci ricordasse chi è stato Carlo Pisacane, che ci raccontasse di come è morto e prima ancora di come è vissuto questo ufficiale borbonico che le bizzarrie della storia ci hanno consegnato come il primo socialista italiano. L'abbiamo trovata, la buona penna intendo, in Emilia Sarogni, scrittrice che da tempo ci consegna personaggi che meritano attenzione e gratitudine.
L'amore. L'Italia. Il socialismo. Questo è il sottotitolo della biografia pubblicata per le edizioni Spartaco. Tre parole che sembrano poter contenere una vita che invece, nei pochi anni a disposizione, tentò sempre di oltrepassare ogni confine dettato dalle convenienze e dal conformismo.
Emilia Sarogni questa vita la dipana con il rigore di studi scrupolosi, ma anche con la passione di chi sa che ha una grande storia da narrare, un personaggio che meriterebbe un romanzo definitivo. E no, non cede alla tentazione del romanzesco, agli effetti speciali. Semplicemente mostra, lascia che gli eventi parlino da soli.
E così ecco che in qualche modo ci siamo anche noi, a fianco di Carlo Pisacane. Magari mentre fugge da Napoli, non per una cospirazione fallita ma per amore della sua Enrichetta. Eccolo, mentre va incontro al suo destino, alla mattanza che più tardi entrerà nei versi della spigolatrice di Sapri - Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti!
E quasi non si vorrebbe proseguire per quelle pagine che raccontano di una sconfitta già scritta, di una morte fin troppo messa in conto, di una solitudine insopportabile, magari anche di quell'ultimo atto di generosità, l'ordine di non sparare sui massacratori.
Quasi non si vorrebbe proseguire, tranne poi congedarsi con un pensiero che può essere anche un impegno: farà bene al nostro paese far conoscere Carlo Pisacane, raccontarlo ai ragazzi, nelle scuole, spiegare loro che non è solo un monumento, il nome di una strada.
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