Perché non c'è persona che non sappia cavarsela nella vita quando conosce le razze dei cani, la direzione del vento, le ore dei bus, una canzone come si deve e i numeri fino a cento...
Maestro Utrecht lo chiamano così perché un suo antenato pare che abbia partecipato alle trattative per la pace di Utrecht, ma in realtà non si sa bene chi sia. Conosce gli alberi, disegna gli uccelli, si muove a piedi di paese in paese. Con le sue mani sa fare un sacco di lavoretti, però la cosa che gli riesce meglio è parlare con i bambini, che lo stanno ad ascoltare incantati. In ogni caso è difficile capire chi sia davvero.
Invece l'autore, o comunque chi parla in prima persona, si trova a Utrecht per un suo lavoro di ricerca. E' lì che si imbatte nella storia di un povero italiano il cui corpo, ridotto a un mucchietto di ossa, viene ritrovato sotto il ponte di un'autostrada. Al suo funerale le uniche parole sono quelle di un poeta volontario in un'associazione che accompagna nell'ultimo saluto le persone sole.
Chi è davvero quell'uomo? Cosa c'è stato nella sua vita? E che cosa ne rimane?
Forse la storia del maestro che parlava ai bambini comincia a prendere forma proprio sotto quel ponte. E diventa ricerca e ricordo, insegue le tracce di un cammino di vita, si affatica dietro le domande. La curiosità si mescola alla pietà, si fa dovere del cuore...
E' un romanzo di grande dolcezza, di intensità senza effetti speciali, Maestro Utrecht di Davide Longo (NN editore). Libro giusto - leggo sulla quarta - per chi conserva biglietti di cinema, teatro e concerti in un cassetto, per chi ama viaggiare a piedi e fermarsi nelle piazze ad ascoltare le voci in sottofondo...
Pensare che l'ho comprato solo per quell'Utrecht nel titolo (l'Olanda, lo sapete, è una mia debolezza). E invece ho scoperto un piccolo grande libro sulle esili tracce che lascia ogni vita e sul bisogno di restituire una storia o almeno un nome.
Ricordatevelo ogni volta che per strada incontrerete un barbone, uno svitato, uno che comunque con voi sembra non averci proprio niente a che fare.
Maestro Utrecht lo chiamano così perché un suo antenato pare che abbia partecipato alle trattative per la pace di Utrecht, ma in realtà non si sa bene chi sia. Conosce gli alberi, disegna gli uccelli, si muove a piedi di paese in paese. Con le sue mani sa fare un sacco di lavoretti, però la cosa che gli riesce meglio è parlare con i bambini, che lo stanno ad ascoltare incantati. In ogni caso è difficile capire chi sia davvero.
Invece l'autore, o comunque chi parla in prima persona, si trova a Utrecht per un suo lavoro di ricerca. E' lì che si imbatte nella storia di un povero italiano il cui corpo, ridotto a un mucchietto di ossa, viene ritrovato sotto il ponte di un'autostrada. Al suo funerale le uniche parole sono quelle di un poeta volontario in un'associazione che accompagna nell'ultimo saluto le persone sole.
Chi è davvero quell'uomo? Cosa c'è stato nella sua vita? E che cosa ne rimane?
Forse la storia del maestro che parlava ai bambini comincia a prendere forma proprio sotto quel ponte. E diventa ricerca e ricordo, insegue le tracce di un cammino di vita, si affatica dietro le domande. La curiosità si mescola alla pietà, si fa dovere del cuore...
E' un romanzo di grande dolcezza, di intensità senza effetti speciali, Maestro Utrecht di Davide Longo (NN editore). Libro giusto - leggo sulla quarta - per chi conserva biglietti di cinema, teatro e concerti in un cassetto, per chi ama viaggiare a piedi e fermarsi nelle piazze ad ascoltare le voci in sottofondo...
Pensare che l'ho comprato solo per quell'Utrecht nel titolo (l'Olanda, lo sapete, è una mia debolezza). E invece ho scoperto un piccolo grande libro sulle esili tracce che lascia ogni vita e sul bisogno di restituire una storia o almeno un nome.
Ricordatevelo ogni volta che per strada incontrerete un barbone, uno svitato, uno che comunque con voi sembra non averci proprio niente a che fare.
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