sabato 20 settembre 2014

Fermor: forse i viaggi non possono finire mai?

Forse i viaggi, i grandi viaggi, non possono finire mai?

Fermor non rispondeva a domande di questo genere. Aveva quell'atteggiamento di sospensione assolutamente inglese benché fosse ormai così greco e, come il suo amico Katsìmbalis (il poeta  che è il "colosso"  raccontato da Henry Miller in "Il colosso di Maroussi"), fosse invincibile in qualsiasi sfida di ouzo, anche nelle più sorde taverne del Pireo.

La Bbc lo aveva descritto come "un incrocio fra Indiana Jones, Bond e Graham Greene", ma è un quadro che potrebbe andar bene solo per chi non ne ha mai sentito il nome e soprattutto non ha mai letto i suoi libri.

Non era Byron, del resto, e non era Chatwin. Chatwin morendo aveva chiesto che le proprie ceneri fossero sparse accanto a una chiesetta peloponnesiaca a Exochori, poco lontano da Kardamili.

Fermor, malato da tempo e novantaseienne, quando capì che non c'erano più lettere da battere sulla macchina da scrivere e non c'erano più To Be Continued da vergare, lasciò la casa di pietra di Kardamili e prese un aereo per tornare dove era nato.

Il giorno dopo il suo arrivo, in Worcestershire, salutò tutti.

(da Matteo Nucci, Lo scrittore d'avventura, ricordo di Patrick Leigh Fermor sul Venerdì di Repubblica)

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