Mi giro intorno, mi lascio andare al vento. Sono un bambù, che si piega ma spera di non spezzarsi.
Misuro lo spazio che mi accoglie, spazio verso il nord, rifletto.
C'è stato un tempo in cui non esistevano questi campi ben ordinati, separati gli uni dagli altri dai contratti e dai muretti di confine, un tempo in cui tutto era solo e soltanto foresta. Mi sento più grande di quanto sono. Sarà che in questo posto posso prescindere da molte cose. Da quasi tutte in effetti. Quindi mi rimetto in cammino.
Calpesto un prato verde, soffice come un tappeto su cui non disdegnerei di rotolarmi. Come a ricercare le capriole dell'infanzia. E perché no? È quasi sempre così, lungo il National trail. Non pensate a uno dei nostri sentieri segnati da solchi profondi, con l'erba che, nel caso, sopravvive solo al centro. Lungo il Muro spesso si ha la sensazione di attraversare il green di un circolo del golf.
Pare che dietro ci sia anche una scelta precisa. I prati aiuterebbero a preservare meglio ciò che ancora gli archeologi non hanno dissepolto. Non so se crederci, ma di sicuro approvano quelle pecore a poche metri da me, che alzano il muso e per un attimo, solo per un attimo, smettono di ruminare.
Sono arrivato a Chesters, un posto che fin nel nome trattiene ciò che era. Da castra, l'antico accampamento romano. E prima ancora Cilurnum, parola celtica che richiama l'idea del calderone. Chesters era un antico forte costruito là dove il Muro scavalcava il Tyne per proseguire sull'altra sponda.
Per almeno tre secoli vi hanno alloggiato truppe reclutate in regioni lontane. In particolare i cavalieri delle Asturie, terra aggrappata alla Spagna, terra sferzata dall'Oceano, terra di guerrieri e di minatori. Venne abbandonato solo tra la fine del quarto e l'inizio del quinto secolo, per essere inghiottito da secoli davvero bui.
Tutto questo tempo in mezzo e ora ci sono io.
Non più erba, sotto i miei piedi, ma la strada lastricata che tagliava a metà l'accampamento. Le pietre levigate da milioni e milioni di passi di legionari.
(da Paolo Ciampi, La strada delle legioni, Mursia)
C'è stato un tempo in cui non esistevano questi campi ben ordinati, separati gli uni dagli altri dai contratti e dai muretti di confine, un tempo in cui tutto era solo e soltanto foresta. Mi sento più grande di quanto sono. Sarà che in questo posto posso prescindere da molte cose. Da quasi tutte in effetti. Quindi mi rimetto in cammino.
Calpesto un prato verde, soffice come un tappeto su cui non disdegnerei di rotolarmi. Come a ricercare le capriole dell'infanzia. E perché no? È quasi sempre così, lungo il National trail. Non pensate a uno dei nostri sentieri segnati da solchi profondi, con l'erba che, nel caso, sopravvive solo al centro. Lungo il Muro spesso si ha la sensazione di attraversare il green di un circolo del golf.
Pare che dietro ci sia anche una scelta precisa. I prati aiuterebbero a preservare meglio ciò che ancora gli archeologi non hanno dissepolto. Non so se crederci, ma di sicuro approvano quelle pecore a poche metri da me, che alzano il muso e per un attimo, solo per un attimo, smettono di ruminare.
Sono arrivato a Chesters, un posto che fin nel nome trattiene ciò che era. Da castra, l'antico accampamento romano. E prima ancora Cilurnum, parola celtica che richiama l'idea del calderone. Chesters era un antico forte costruito là dove il Muro scavalcava il Tyne per proseguire sull'altra sponda.
Per almeno tre secoli vi hanno alloggiato truppe reclutate in regioni lontane. In particolare i cavalieri delle Asturie, terra aggrappata alla Spagna, terra sferzata dall'Oceano, terra di guerrieri e di minatori. Venne abbandonato solo tra la fine del quarto e l'inizio del quinto secolo, per essere inghiottito da secoli davvero bui.
Tutto questo tempo in mezzo e ora ci sono io.
Non più erba, sotto i miei piedi, ma la strada lastricata che tagliava a metà l'accampamento. Le pietre levigate da milioni e milioni di passi di legionari.
(da Paolo Ciampi, La strada delle legioni, Mursia)
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