Non c'è più posto, nell'Italia di oggi, per chi voglia scrivere versi? Davvero la poesia è migrata altrove?
Così si interrogò tempo fa un grande poeta come Valerio Magrelli. Per poi snocciolare alcune cifre che, nel bene e nel male, mi hanno decisamente impressionato.
E dunque, si calcola che circa un milione e mezzo di italiani avrebbe composto durante la sua vita almeno una raccolta di versi (tra di essi almeno un giovane su tre nell'età compresa tra i 15 e i 20 anni). Si stima anche che i "poeti praticanti" (non so bene, in effetti, cosa si intenda con questa espressione) siano tra i 15 e i 20 mila. Niente male, no?
E allora, la prima cosa che viene in mente è che è una gran bella cosa, questo esercizio diffuso della poesia. Forse siamo un popolo di poeti, e non solo di santi, eroi e navigatori.... Ma la seconda cosa è una domanda che mette il dito nella piaga: ma insomma, dove finisce questo bisogno di poesia?
Perché la realtà è anche questa: si scrive ma non si legge; le vendite dei libri di poesia restano irrisorie e magari limitate ai grandi che si studiano a scuola e a pochi altri; nella nostra cultura lascia più il segno un testo di una canzone (che può essere poesia, beninteso) che una grande raccolta di versi.
Ed è evidente che non è un problema di ora, che non è solo la concorrenza dei cantautori. Già Dino Campana, rinchiuso in manicomio, scriveva righe così:
La mia vita scorre monotona e tranquilla. Leggo qualche giornale. Non ho più voluto occuparmi di cose letterarie stante la nullità dei successi pratici ottenuti. Il mercato librario in Italia è assolutamente nullo per il mio genere
Forse in qualche misura il problema è connaturato alla stessa poesia. Magrelli stesso, per esempio, sottolinea una sorta di paradosso della poesia, che è capace di negarsi alla mercificazione quotidiana della parola, ma proprio per questo poi ha difficoltà a farsi acquistare:
Ma se la poesia rappresenta la negazione dell'oggetto di consumo, come ampliare il consumo di poesia? Come ampliare, cioé il consumo di negazione?
Qui il discorso si fa difficile, però mi sa che si può fare comunque di più, per dare luce e visibilità al "popolo dei poeti".
Oggi abbiamo anche una possibilità in più, la Rete, con il suo esercito di siti, blog, gruppi di discussione. Possiamo permetterci qualche goccia di ottimismo: ai tempi di Campana era perfino peggio.
Così si interrogò tempo fa un grande poeta come Valerio Magrelli. Per poi snocciolare alcune cifre che, nel bene e nel male, mi hanno decisamente impressionato.
E dunque, si calcola che circa un milione e mezzo di italiani avrebbe composto durante la sua vita almeno una raccolta di versi (tra di essi almeno un giovane su tre nell'età compresa tra i 15 e i 20 anni). Si stima anche che i "poeti praticanti" (non so bene, in effetti, cosa si intenda con questa espressione) siano tra i 15 e i 20 mila. Niente male, no?
E allora, la prima cosa che viene in mente è che è una gran bella cosa, questo esercizio diffuso della poesia. Forse siamo un popolo di poeti, e non solo di santi, eroi e navigatori.... Ma la seconda cosa è una domanda che mette il dito nella piaga: ma insomma, dove finisce questo bisogno di poesia?
Perché la realtà è anche questa: si scrive ma non si legge; le vendite dei libri di poesia restano irrisorie e magari limitate ai grandi che si studiano a scuola e a pochi altri; nella nostra cultura lascia più il segno un testo di una canzone (che può essere poesia, beninteso) che una grande raccolta di versi.
Ed è evidente che non è un problema di ora, che non è solo la concorrenza dei cantautori. Già Dino Campana, rinchiuso in manicomio, scriveva righe così:
La mia vita scorre monotona e tranquilla. Leggo qualche giornale. Non ho più voluto occuparmi di cose letterarie stante la nullità dei successi pratici ottenuti. Il mercato librario in Italia è assolutamente nullo per il mio genere
Forse in qualche misura il problema è connaturato alla stessa poesia. Magrelli stesso, per esempio, sottolinea una sorta di paradosso della poesia, che è capace di negarsi alla mercificazione quotidiana della parola, ma proprio per questo poi ha difficoltà a farsi acquistare:
Ma se la poesia rappresenta la negazione dell'oggetto di consumo, come ampliare il consumo di poesia? Come ampliare, cioé il consumo di negazione?
Qui il discorso si fa difficile, però mi sa che si può fare comunque di più, per dare luce e visibilità al "popolo dei poeti".
Oggi abbiamo anche una possibilità in più, la Rete, con il suo esercito di siti, blog, gruppi di discussione. Possiamo permetterci qualche goccia di ottimismo: ai tempi di Campana era perfino peggio.
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