Molto prima di avermi come cliente, il bar mi ha salvato. Mi ha ridato fiducia quand'ero bambino, si è preso cura di me quand'ero adolescente e mi ha accolto quand'ero un giovane uomo. Anche se siamo attratti, temo, da ciò che ci abbandona o promette di abbandonarci, alla fine credo che sia quello che ci accoglie a segnarci
Figlio unico di madre single, J.R. insegue la figura del padre, dj di New York, che conosce solo come una voce alla radio. Non lo troverà mai, o lo troverà solo quando sarà troppo tardi, come quasi sempre capita. Ma troverà un bar - un bar di quartiere, di quelli che fanno tanto America - che lo accoglierà con la sua varia umanità e lo farà crescere, accompagnandolo attraverso gli studi, le scelte del lavoro e degli affetti, la difficile battaglia per conquistare un senso e un equilibrio.
Bello, bellissimo, Il bar delle grandi speranze di J.R Moehringer (Piemme)
, uno dei più belli tra quanti letti negli ultimi tempi. Un libro che ho sottolineato fino a consumare la matita e da cui, a distanza di mesi, pesco ancora una pagina, una citazione.
Per intendersi, non un libro sull'alcol e relative sbronze. Si beve molto, certo, ma qui non siamo nei paraggi di Charles Bukowski e delle sue mosche da bar. Piuttosto è una storia su come si diventa grandi, sulla confusione dei giorni, sul modo in cui se ne può uscire.
E quante cose che ci sono: la gente del bar come un porto di mare a cui attraccano tutte le storie e i sentimenti, ma anche il rapporto tra la madre il suo unico figlio, una storia di amore poco più che adolescenziale complicata come solo a quell'età, gli esordi di colui che diventerà un grande giornalista... già, perché in questo libro così tenero e appassionante, melanconico e divertente, c'è anche il coraggio dell'autenticità. Il valore del raccontarsi mettendosi a nudo.
Un indimenticabile ritratto - leggo nella quarta di copertina - di come gli uomini rimangano, nel fondo del loro cuore, dei ragazzi perduti. Per una volta la quarta di copertina la sottoscrivo al cento per cento.
Figlio unico di madre single, J.R. insegue la figura del padre, dj di New York, che conosce solo come una voce alla radio. Non lo troverà mai, o lo troverà solo quando sarà troppo tardi, come quasi sempre capita. Ma troverà un bar - un bar di quartiere, di quelli che fanno tanto America - che lo accoglierà con la sua varia umanità e lo farà crescere, accompagnandolo attraverso gli studi, le scelte del lavoro e degli affetti, la difficile battaglia per conquistare un senso e un equilibrio.
Bello, bellissimo, Il bar delle grandi speranze di J.R Moehringer (Piemme)
, uno dei più belli tra quanti letti negli ultimi tempi. Un libro che ho sottolineato fino a consumare la matita e da cui, a distanza di mesi, pesco ancora una pagina, una citazione.
Per intendersi, non un libro sull'alcol e relative sbronze. Si beve molto, certo, ma qui non siamo nei paraggi di Charles Bukowski e delle sue mosche da bar. Piuttosto è una storia su come si diventa grandi, sulla confusione dei giorni, sul modo in cui se ne può uscire.
E quante cose che ci sono: la gente del bar come un porto di mare a cui attraccano tutte le storie e i sentimenti, ma anche il rapporto tra la madre il suo unico figlio, una storia di amore poco più che adolescenziale complicata come solo a quell'età, gli esordi di colui che diventerà un grande giornalista... già, perché in questo libro così tenero e appassionante, melanconico e divertente, c'è anche il coraggio dell'autenticità. Il valore del raccontarsi mettendosi a nudo.
Un indimenticabile ritratto - leggo nella quarta di copertina - di come gli uomini rimangano, nel fondo del loro cuore, dei ragazzi perduti. Per una volta la quarta di copertina la sottoscrivo al cento per cento.
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