Mi portava da casa a scuola sulla sua bicicletta. Traghettatore tra due sponde, con la pioggia e con il sole.
Forse il suo più grande motivo di orgoglio, o persino la giustificazione della sua esistenza: che io appartenessi a quel mondo che l'aveva disdegnato.
Bastano righe come queste per far emergere l'intera vita di una persona senza storia, tra le tante: prima contadino, poi operaio, infine gestore di un bar-drogheria della provincia normanna, uomo del popolo, uomo senza istruzione e modi da cittadino, vita sottomessa alla necessità. Per rappresentare lui e per illuminare la relazione con la figlia, che lui ha fatto di tutto perché potesse studiare e fare una vita diversa, senza per questo mai immaginarsi che un giorno sarebbe perfino diventata scrittrice.
Di Annie Ernaux avevo già letto Gli anni, opera stupefacente, capace di mettere insieme autobiografia e storia collettiva, lettura che mi aveva conquistato fin dalla prima pagina. Ma che dire allora di quest'altro libro, Il posto (L'Orma edizioni)? Oserei parlare di capolavoro, se la parola non fosse logorata dall'uso.
Un libriccino in fondo, che si può leggere in due ore. Vai a sapere però quanto rimarrà dentro, vento di emozioni e di riflessioni che non viene meno. Quante cose, che ci sono: due generazioni a confronto che non sanno riconoscersi ma che si scoprono negli affetti, la fedeltà alle proprie radici e il bisogno di voltare le spalle a ciò che c'è di più caro, la famiglia e il mondo, gli immensi tesori di umanità nascoste in vite di lavori umili, di giorni che scorrono sotto gli eventi. I silenzi, la forza del sentimento, le cose che resistono e che si mettono in moto comunque, basta avere occhi per guardare.
Racconta suo padre, Annie Ernaux, parole, gesti, gusti, racconta i mestieri più difficili del mondo, quelli di genitore e quello di figlio. Entra nel terreno più difficile per una scrittura che non inventa e non si sottrae - ci ho messo tanto perché riportare alla luce fatti dimenticati non mi veniva così facile quanto inventarli - e prima ancora che le storie di famiglia mette a nudo quei nodi emotivi che più di tutti è un'impresa sciogliere, sarà che ci sono troppi rimpianti. Distacchi, parole che si sono fatte mancare, incomprensioni, piccole crudeltà quotidiane.
Parabole di vita che a volte si cristallizzano in uno sguardo, in una frase.
La madre: "E' un uomo di campagna, cosa volete farci".
Il padre: Un giorno, con sguardo fiero: "Non ti ho mai fatto vergognare".
Mondi distanti. Mondi che i sentimenti, come la legge di gravità, riportano insieme. Nel tempo, col tempo.
Forse il suo più grande motivo di orgoglio, o persino la giustificazione della sua esistenza: che io appartenessi a quel mondo che l'aveva disdegnato.
Bastano righe come queste per far emergere l'intera vita di una persona senza storia, tra le tante: prima contadino, poi operaio, infine gestore di un bar-drogheria della provincia normanna, uomo del popolo, uomo senza istruzione e modi da cittadino, vita sottomessa alla necessità. Per rappresentare lui e per illuminare la relazione con la figlia, che lui ha fatto di tutto perché potesse studiare e fare una vita diversa, senza per questo mai immaginarsi che un giorno sarebbe perfino diventata scrittrice.
Di Annie Ernaux avevo già letto Gli anni, opera stupefacente, capace di mettere insieme autobiografia e storia collettiva, lettura che mi aveva conquistato fin dalla prima pagina. Ma che dire allora di quest'altro libro, Il posto (L'Orma edizioni)? Oserei parlare di capolavoro, se la parola non fosse logorata dall'uso.
Un libriccino in fondo, che si può leggere in due ore. Vai a sapere però quanto rimarrà dentro, vento di emozioni e di riflessioni che non viene meno. Quante cose, che ci sono: due generazioni a confronto che non sanno riconoscersi ma che si scoprono negli affetti, la fedeltà alle proprie radici e il bisogno di voltare le spalle a ciò che c'è di più caro, la famiglia e il mondo, gli immensi tesori di umanità nascoste in vite di lavori umili, di giorni che scorrono sotto gli eventi. I silenzi, la forza del sentimento, le cose che resistono e che si mettono in moto comunque, basta avere occhi per guardare.
Racconta suo padre, Annie Ernaux, parole, gesti, gusti, racconta i mestieri più difficili del mondo, quelli di genitore e quello di figlio. Entra nel terreno più difficile per una scrittura che non inventa e non si sottrae - ci ho messo tanto perché riportare alla luce fatti dimenticati non mi veniva così facile quanto inventarli - e prima ancora che le storie di famiglia mette a nudo quei nodi emotivi che più di tutti è un'impresa sciogliere, sarà che ci sono troppi rimpianti. Distacchi, parole che si sono fatte mancare, incomprensioni, piccole crudeltà quotidiane.
Parabole di vita che a volte si cristallizzano in uno sguardo, in una frase.
La madre: "E' un uomo di campagna, cosa volete farci".
Il padre: Un giorno, con sguardo fiero: "Non ti ho mai fatto vergognare".
Mondi distanti. Mondi che i sentimenti, come la legge di gravità, riportano insieme. Nel tempo, col tempo.
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