domenica 21 dicembre 2014

Il matematico che cerca un senso alla sua vita

Nessuna mia scoperta ha aggiunto qualcosa, né verosimilmente aggiungerà qualcosa, direttamente o indirettamente, nel bene o nel male, alle attrattive del mondo.

Ho aiutato a formare altri matematici, ma erano matematici della mia stessa specie e il loro lavoro, quello che hanno compiuto col mio aiuto, è stato altrettanto inutile del mio. Giudicato secondo tutti i parametri pratici, il valore della mia vita matematica è nullo; e al di fuori della matematica è assolutamente insignificante. 

Ho un'unica possibilità di sfuggire a un verdetto di irrilevanza totale, se si giudica che ho creato qualcosa che valeva la pena creare. Che ho creato qualcosa è innegabile: la questione riguarda il suo valore.

La sola difesa della mia vita, allora, o di chiunque sia stato matematico nello stesso mio senso, è dunque questa: ho aggiunto qualcosa al sapere e ho aiutato altri ad aumentarlo ancora; il valore dei miei contributi si differenzia soltanto in grado, e non in natura, dalle creazione dei grandi matematici, o di tutti gli altri artisti, grandi e piccoli, che hanno lasciato qualche traccia dietro di loro.

(Godfrey H. Hardy, Apologia di un matematico, Garzanti)

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