venerdì 22 agosto 2014

Dimenticare Augusto, nell'"epoca della rozzezza"

Stendiamo un pietoso velo sul Mausoleo di Augusto, da molto tempo chiuso per restauri e allagato nell'unico giorno in cui era stato riaperto per celebrare il bimillenario (dicesi bimillenario). Questa è evidentemente l'Italia che non si smentisce nel modo in cui maltratta i suoi beni culturali. Ma la domanda è: come mai un personaggio come Augusto, così decisivo nella storia di Roma e diciamo pure dell'umanità, non è riuscito a entrare se non nel nostro immaginario almeno nel cono di luce della nostra attenzione?

Perché questo è fuor di dubbio, altri imperatori - per rimanere agli imperatori - ci sono riusciti assai meglio: Adriano, per esempio, e non solo per lo splendido libro della Yourcenar; e perfino Nerone, con tutto quello che ha combinato. E allora?

Una bella risposta l'ha data qualche giorno Maurizio Bettini sulla cultura di Repubblica, in un intervento in cui, appunto, si interroga sui motivi per cui abbiamo dimenticato l'imperatore che inventò la pace globale (non senza fare le sue guerre, in ogni caso). Scrive Bettini:

Augusto rappresenta la classicità della classicità, una sorta di classicità esponenziale, quella propria del signore di un'epoca che amò la perfezione della forma, l'eleganza, l'ironia, la cultura, perfino l'erudizione: tutti valori che la nostra società, incline alle sensazioni forti e dedita talora alla poetica delle rozzezza, rispetta e ammira, almeno a parole, ma certo non sente proprie.

Ecco, ora mi torna più. Non è per Augusto. E' la nostra "epoca della rozzezza" che ha i suoi problemi. Ora che ci penso, non ne dubito.


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