lunedì 10 febbraio 2014

Il grande Cechov che morì brindando con lo champagne

Un orario dei treni da consultare anche quando è evidente che la malattia ha vinto sul tuo corpo - e lo sai, perché non sei solo un grande scrittore, sei un medico bravo e competente. Destinazioni, coincidenze, possibilità che vale comunque la pena studiare, perché non si sa mai.

Anche questo c'è ne L'incarico, gli ultimi giorni di vita di Anton Cechov come li racconta un altro grande scrittore, Raymond Carver. L'ho riletto ieri notte, sull'onda emotiva di qualche reminiscenza, non so più se relativa a Cechov o Carver, due scrittori comunque per me fondamentali. E ancora una volta mi sono meravigliato e commosso, di fronte allo spettacolo di una morte che sa di quiete e di bellezza.

Con il medico curante che capisce che non c'è più nulla da fare e allora telefona alla reception dell'albergo dove tutto si sta consumando, per ordinare una bottiglia del migliore champagne: e in fretta, capito?

E insieme allo champagne, tre coppe: per Anton, per la moglie Olga e per il medico stesso. Ed è questo che succede.

A cosa mai avrebbero potuto brindare? Alla morte? Cechov chiamò a raccolta le ultime forze e disse: "E' un sacco di tempo che non bevo più champagne". Si portò il bicchiere alle labbra e bevve.

Dopo Anton si voltò di lato, chiuse gli occhi, fece un grande sospiro. E per il suo corpo martoriato dalla tubercolosi fu tutto finito. C'era stato tempo per l'ultimo brindisi.

Fu uno di quei rari momenti di ispirazione cui si rischia in seguito di cui non far più caso, perché l'iniziativa sembra così appropriata da apparire inevitabile.

Sono convinto che a scrivere queste pagine non poteva che essere Carver, un grande che come Cechov ha legato il suo nome soprattutto ai racconti e che dal grande russo è stato fortemente ispirato. Quasi un destino comune, visto che anche lui è andato incontro a una morte prematura.

Ma che racconto che è questo. A un certo punto non c'è più Anton, né Olga, nè il medico che fino alla fine è stato al loro fianco, rimane piuttosto il giovane cameriere che, ignaro di tutto, serve in camera lo champagne.

 E tutto svanisce, placidamente, ordinatamente, parole ed emozioni come le foglie che cadono in autunno. E a noi viene di guardare solo un oggetto, fuori posto, unica testimonianza di ciò che è successo e prima di tutto di un gesto come un raro momento di ispirazione, appunto: il tappo della bottiglia, rimasto per terra, nella stanza dove aveva smesso di respirare Anton Cechov.

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