giovedì 15 agosto 2013

Ciò che gli alberi bisbigliavano tra loro

Più grande diventavo, più aiutavo il babbo nel suo lavoro.

E facevo molto altro. Pascolavo le pecore, con la rocca alla vita, facevo frasche, raccattavo le spighe.
 

Faticavo e crescevo, faticavo e sentivo venir su qualcosa da dentro di me.
 

Non aveva un nome, però le mie giornate possedevano una speciale gioia.
 

Mi beavo della quiete degli alpeggi, godevo dell’aura, sorbivo il silenzio ingioiellato di infiniti rumori.
Talvolta me ne stavo ferma a sorvegliare il gregge, con un filo d’erba in bocca: seduta nella natura guardavo e pensavo.
 

Mi incantavo al cospetto dei prati, che sono granai di vita.
 

Mi piaceva accoccolarmi sui cigli scoscesi. Lasciavo vagare il mio sguardo e la bellezza del creato mi rapiva.
 

Alle volte però le parti si rovesciavano. Non era la bellezza a conquistarmi. Ero io a coglierla alla sprovvista.
 

No, non mi guardi così, professore: sono cose difficili da esprimere per chi non ha i suoi studi.
Durava un istante e svaniva subito.
 

E io me ne rimanevo di sasso come per una rivelazione.
 

Rimiravo la natura e mi sembrava di stare rimpiattata dietro un uscio, a origliare e capire ciò che non mi spettava di sapere.
 

Potevo quasi comprendere ciò che gli alberi bisbigliavano tra loro.
 

E dopo mi scuotevo. Tornavo ai miei animali, alle mie erbe da falciare e caricarsi.
 

Come un mistero che si svela e che un attimo dopo ti scappa ancora.

(da Paolo Ciampi, Beatrice, Sarnus edizioni)

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