Un giorno K. è invitato (da una voce anonima, per telefono) a presentarsi la domenica successiva in una casa di periferia per partecipare a una breve inchiesta che lo riguarda.
Per non complicare e tanto meno prolungare il processo, decide di ottemperare all'invito. Dunque ci va.
Sebbene non sia stato convocato a un'ora precisa si affretta. All'inizio vuole prendere un tramvai. Poi si rifiuta per non umiliarsi, grazie a una puntualità troppo docile, davanti ai suoi giudici.
Tuttavia non desidera prolungare lo svolgimento del processo e perciò si mette a correre; sì, corre (nell'originale tedesco la parola "correre", "laufen", si ripete tre volte nello stesso paragrafo); corre perché vuole salvare la sua dignità e, allo stesso tempo, per non arrivare in ritardo a un appuntamento la cui ora resta sconosciuta.
Tale combinazione di gravità e leggerezza, di comicità e tristezza, di senso e non senso, accompagna tutto il romando fino all'esecuzione di K. e fa nascere una bellezza strana e incomparabile; mi piacerebbe definire questa bellezza, ma so che non ci riuscirò mai.
(da Milan Kundera, Il mio Processo. L'insostenibile bellezza del romanzo di Kafka, da Repubblica del 13 aprile)
Per non complicare e tanto meno prolungare il processo, decide di ottemperare all'invito. Dunque ci va.
Sebbene non sia stato convocato a un'ora precisa si affretta. All'inizio vuole prendere un tramvai. Poi si rifiuta per non umiliarsi, grazie a una puntualità troppo docile, davanti ai suoi giudici.
Tuttavia non desidera prolungare lo svolgimento del processo e perciò si mette a correre; sì, corre (nell'originale tedesco la parola "correre", "laufen", si ripete tre volte nello stesso paragrafo); corre perché vuole salvare la sua dignità e, allo stesso tempo, per non arrivare in ritardo a un appuntamento la cui ora resta sconosciuta.
Tale combinazione di gravità e leggerezza, di comicità e tristezza, di senso e non senso, accompagna tutto il romando fino all'esecuzione di K. e fa nascere una bellezza strana e incomparabile; mi piacerebbe definire questa bellezza, ma so che non ci riuscirò mai.
(da Milan Kundera, Il mio Processo. L'insostenibile bellezza del romanzo di Kafka, da Repubblica del 13 aprile)
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