lunedì 27 settembre 2010

Il Leopardi che leggeva e diventava quel libro

La cosa essenziale, dice Leopardi, non è essere uno scrittore, ma un lettore. E lui legge di tutto e diventa ogni volta il libro che ha letto e non c'è fine a questa incessante trasformazione

Che belle queste parole, che Pietro Citati – e dico poco – consegna ad Antonio Gnoli, in una bella intervista in cui presenta la sua ultima impressionante fatica, Leopardi (Mondadori). Libro che mi fa un po' paura, lo ammetto, ma che certamente finirò per comprare e per leggere, intrigato da Leopardi, ma sicuramente anche dalla consapevolezza che un'opera di Citati è sempre una miniera che arriva a profondità insospettate, di sorpresa in sorpresa.

In attesa del libro, quanti spunti in questa intervista su un poeta che è troppo facile confinare ai versi che ci insegnano a scuola e inchiodare ai vari stereotipi dell'infelicità e della solitudine.

Grazia a questo libro riuscirò a saperne di più di questo uomo che ci lasciò detto che le uniche cose sopportabili sono le cose che non sono. Che sapeva essere moderno detestando la modernità. Che diventava tutti i libri che leggeva e per questo si considerava solo uno scrittore di tentativi. Che nella sua sofferenza sapeva anche essere meno ombroso di quanto vorremmo presupporre (leggo nell'intervista che si divertiva anche a dare i numeri del lotto che gli chiedevano in quanto gobbo)

Un uomo che riesce a parlarci ancora, perché, come spiega Citati, da quel lembo di provincia italiana che era Recanati è riuscito a porsi fuori del tempo e quindi a parlare a tutti i tempi.

L'Italia non ha più prodotto nessun altro grande moderno


E con  queste parole a me non rimane altro che meditare su ciò che è veramente moderno.

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