Comincia con un mappamondo in precario equilibrio nella stanza del figlio, assediato da pastelli colorati e da tante domande, ma diventa presto un lungo viaggio, anzi una sequenza di viaggi, non in Europa, ma intorno all'Europa.
Comincia interrogandosi sulla frontiera perduta - illusione di tutti coloro che, come il sottoscritto, hanno pensato a un'altra Europa dopo la caduta del Muro di Berlino - ma inevitabilmente si ritrova a fare i conti con i confini che da allora si sono persino moltiplicati e spesso sono anche diventati muro e filo spinato.
Ed è lì, ai margini dell'Europa, in luoghi che fino a qualche tempo fa era facile ignorare, che si può comprendere meglio cosa l'Europa è diventata, cosa siamo diventati noi.
Che bel libro che è Sui confini. Europa, un viaggio sulle frontiere di Marco Truzzi, pubblicato da Exòrma, casa editrice che difficilmente sbaglia un colpo. Nonostante il titolo, che odora di saggio, è un libro di viaggio, un gran libro di viaggio. Dall'Europa che è in Africa, nell'enclave spagnola di Melilla, dove preme la disperazione di un intero continente, all'Europa che si sottrae all'Europa dell'ordinata e indifferente Svizzera. Dal nord della Scandinavia, dove davvero non è tutto oro quello che luccica e dove anzi il gioco delle identità e delle esclusioni si è fatto complesso, fino ai luoghi della disperazione di Calais e Idomeni. Lungo frontiere nuove e vecchie, confini dimenticati e poi ritornati di attualità, per raggiungere alla fine il luogo che non è frontiera segnata sulle mappe, ma che più di tutti è frontiera, anzi frattura, taglio netto tra un prima e dopo, luogo dove l'Europa è morta e da lì ha provato a rinascere: Auschwitz.
Bello, bello davvero questo libro, che sa sfuggire alle tentazioni del discorso autoreferenziale, delle tesi precostituite, della dimostrazione di ciò che si voleva dimostrare. Che si fa occhi che non si stancano di guardare, dita che cercano su una carta una destinazione che non si era messa in conto, domande alimentate da una salutare curiosità.
E l'autore - insieme all'amico Angelo, fotografo e compagno di viaggio - non si tira mai indietro. E nella scrittura c'è con tutte le emozioni che in viaggio del genere può destare. Non solo infinita tristezza, ma anche capacità di raccontare e raccontarsi con umorismo. Se non ci credete, leggete le pagine sui due dispersi in una qualche strada di una Svezia che è quasi Norvegia: con la Volvo in panne e le renne che forse sono alci.....
Ci ho ritrovato tante delle cose che anch'io ho provato a scrivere, magari nei libri con Tito Barbini, da Caduti dal Muro a I sogni vogliono migrare. Ma questo non c'entra, quello che conta è che questo è un libro che fa bene leggere.
Comincia interrogandosi sulla frontiera perduta - illusione di tutti coloro che, come il sottoscritto, hanno pensato a un'altra Europa dopo la caduta del Muro di Berlino - ma inevitabilmente si ritrova a fare i conti con i confini che da allora si sono persino moltiplicati e spesso sono anche diventati muro e filo spinato.
Ed è lì, ai margini dell'Europa, in luoghi che fino a qualche tempo fa era facile ignorare, che si può comprendere meglio cosa l'Europa è diventata, cosa siamo diventati noi.
Che bel libro che è Sui confini. Europa, un viaggio sulle frontiere di Marco Truzzi, pubblicato da Exòrma, casa editrice che difficilmente sbaglia un colpo. Nonostante il titolo, che odora di saggio, è un libro di viaggio, un gran libro di viaggio. Dall'Europa che è in Africa, nell'enclave spagnola di Melilla, dove preme la disperazione di un intero continente, all'Europa che si sottrae all'Europa dell'ordinata e indifferente Svizzera. Dal nord della Scandinavia, dove davvero non è tutto oro quello che luccica e dove anzi il gioco delle identità e delle esclusioni si è fatto complesso, fino ai luoghi della disperazione di Calais e Idomeni. Lungo frontiere nuove e vecchie, confini dimenticati e poi ritornati di attualità, per raggiungere alla fine il luogo che non è frontiera segnata sulle mappe, ma che più di tutti è frontiera, anzi frattura, taglio netto tra un prima e dopo, luogo dove l'Europa è morta e da lì ha provato a rinascere: Auschwitz.
Bello, bello davvero questo libro, che sa sfuggire alle tentazioni del discorso autoreferenziale, delle tesi precostituite, della dimostrazione di ciò che si voleva dimostrare. Che si fa occhi che non si stancano di guardare, dita che cercano su una carta una destinazione che non si era messa in conto, domande alimentate da una salutare curiosità.
E l'autore - insieme all'amico Angelo, fotografo e compagno di viaggio - non si tira mai indietro. E nella scrittura c'è con tutte le emozioni che in viaggio del genere può destare. Non solo infinita tristezza, ma anche capacità di raccontare e raccontarsi con umorismo. Se non ci credete, leggete le pagine sui due dispersi in una qualche strada di una Svezia che è quasi Norvegia: con la Volvo in panne e le renne che forse sono alci.....
Ci ho ritrovato tante delle cose che anch'io ho provato a scrivere, magari nei libri con Tito Barbini, da Caduti dal Muro a I sogni vogliono migrare. Ma questo non c'entra, quello che conta è che questo è un libro che fa bene leggere.
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