martedì 24 maggio 2011

Se la provincia è un po' come l'America

Uno pensa alle grandi città, a Roma, a Milano, magari anche a Torino, a Firenze, a Genova.... insomma alle città con le case editrici, le grandi librerie, i caffé storici, i circoli che contano, e via di seguito, facile pensare così, pensare che cultura e grande città vadano a braccetto.

Per fortuna poi che a volte lo sguardo può cadere anche su una pagina come questa di Luciano Bianciardi, tratta da Il lavoro culturale, libro straordinario di volti e parole e idee della provincia più provincia, figuratevi, la Maremma del dopoguerra.


Noi ordinavamo bicchierini di grappa e si restava lì un paio d'ore, a sorseggiarla, a guardare i camionisti, a parlare di letteratura. Letteratura americana, naturalmente; e veniva sempre il momento in cui il nostro ospite osservava che quell'angolo di provincia, così, con la campagna a ridosso e la grande strada della capitale, e i camionisti, un posticino così, tranquillo, bene illuminato, pareva proprio uscito da una pagina di Hemingway. O di Saroyan.

La provincia doveva essere un po' tutta così, fosse America, Russia, o la nostra città. La provincia, culturalmente, era la novità, l'avventura da tentare


E non so se ci voglio davvero credere, non so se vale solo per tempi ormai lontani, non so se è più un crampo di nostalgia, una velleità, o un dato di fatto, ma sogno questa provincia, mi piace pensare che l'Italia sia questa immensa rete di compagnie amatoriali, filarmoniche, associazioni delle più varie, storici locali, bibliotecari, maestri, lettori appassionati... che sia questa l'Italia della grande provincia. O che magari possa esserla.

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