Quello è Dorando, il grande campione di maratona che quasi vinse alle Olimpiadi di Londra.
Le Olimpiadi di cui si parla non sono quelle che si sono appena chiuse, sono quelle del 1908. Più di un secolo è passato, insomma, e ancora la storia di Dorando non è stata dimenticata. Ancora quella quasi vittoria rimane viva più di qualsiasi altra vittoria nelle tante maratone che da allora si sono disputate.
Dorando Petri, cioé il garzone di bottega italiano che corre sempre. Corre quando consegna il pane, quando si riposa dal lavoro, quando sfida gli altri pionieri di uno sport per cui ancora non ci sono divise griffate e integratori alimentari. Corre fino ad arrivare alla gara olimpica, corre tra gli sguardi di sufficienza e il razzismo nemmeno velato di chi si intende di sport e non può prendere in considerazione quell'omino di una nazione disgraziata. Corre e quel giorno stacca tutti, tranne smarrirsi sul traguardo e farsi squalificare per la spinta di un giudice - qualcuno disse che si trattava di Conan Doyle, sì, proprio colui che ci ha regalato Sherlock Holmes.
In seguito quell'omino vinse molto, nella sua vita. Guadagnò anche molto, tranne poi perdere tutto. Ma per tutta la vita e anche dopo - più di un secolo dopo - sarà sempre quello della quasi vittoria.
E con Il sogno del maratoneta (Garzanti) Giuseppe Pederiali ci racconta questa storia. Storia buona anche per chi alla corsa è allergico, perfino alla televisione. Storia di un'impresa mancata e di un'epoca andata. Parabola di una vita tenace e stralunata, che rovesciò anche una certa idea degli italiani in giro per il mondo. Da leggere.
Le Olimpiadi di cui si parla non sono quelle che si sono appena chiuse, sono quelle del 1908. Più di un secolo è passato, insomma, e ancora la storia di Dorando non è stata dimenticata. Ancora quella quasi vittoria rimane viva più di qualsiasi altra vittoria nelle tante maratone che da allora si sono disputate.
Dorando Petri, cioé il garzone di bottega italiano che corre sempre. Corre quando consegna il pane, quando si riposa dal lavoro, quando sfida gli altri pionieri di uno sport per cui ancora non ci sono divise griffate e integratori alimentari. Corre fino ad arrivare alla gara olimpica, corre tra gli sguardi di sufficienza e il razzismo nemmeno velato di chi si intende di sport e non può prendere in considerazione quell'omino di una nazione disgraziata. Corre e quel giorno stacca tutti, tranne smarrirsi sul traguardo e farsi squalificare per la spinta di un giudice - qualcuno disse che si trattava di Conan Doyle, sì, proprio colui che ci ha regalato Sherlock Holmes.
In seguito quell'omino vinse molto, nella sua vita. Guadagnò anche molto, tranne poi perdere tutto. Ma per tutta la vita e anche dopo - più di un secolo dopo - sarà sempre quello della quasi vittoria.
E con Il sogno del maratoneta (Garzanti) Giuseppe Pederiali ci racconta questa storia. Storia buona anche per chi alla corsa è allergico, perfino alla televisione. Storia di un'impresa mancata e di un'epoca andata. Parabola di una vita tenace e stralunata, che rovesciò anche una certa idea degli italiani in giro per il mondo. Da leggere.
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