martedì 30 luglio 2013

Parole e silenzi nei luoghi di Marguerite Duras

Potrei parlare per ore di questa casa, del giardino. Conosco tutto, so dove sono le vecchie porte, tutto, i muri dello stagno, tutte le piante, il posto di tutte le piante, conosco anche il posto delle piante selvatiche, tutto.

Buono per quanti almeno una volta si sono imbattuti in una pagina di Marguerite Duras e si sono fatti catturati dalla sua scrittura, dalle sue storie che scavano fino in fondo e danno parola a ciò che di solito di parola è privo. Buono anche per quanti la Duras non l'hanno mai amata - non è un autore che si lascia conquistare facilmente, nonostante i successi editoriali di altri anni - e che tuttavia ora hanno la possibilità di esplorare il mondo segreto di una grande del Novecento.

Non so bene come definire I miei luoghi, ora pubblicato da Clichy. Un libro-intervista certo, con la Duras che, conversando con Michelle Porte, racconta i luoghi della sua vita, dalla giungla del Vietnam alla casa affacciata sulla sabbia e le maree della Normandia. Eppure non è solo questo. O meglio il gioco delle domande e delle risposte si fa molto altro: racconto intimo, parola evocativa, silenzio che sembra impregnare i luoghi stessi della Duras e farsi più eloquente di molti discorsi.

Un libro sul filo della memoria, della nostalgia, del ricordo che si fa strada e chiede cittadinanza al presente. Un libro anche da toccare, sfogliare, vedere, perché parla pure attraverso le sue pagine bianche e le tante fotografie.

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