venerdì 11 ottobre 2019

Con quella voglia di toccare di nuovo l'America

Così scoprii che non conoscevo il mio paese. Io, scrittore americano, che scrive sull'America, lavoravo a memoria, e la memoria è, al meglio, una cisterna fallosa e contorta. 

Ecco, questo non te lo aspetti dallo scrittore che ha raggiunto il successo proprio grazie alle sue storie americane, di più, grazie alla capacità riconosciuta di raccontare l'America vera. Proprio lui, John Steinbeck, l'autore di Furore, l'uomo capace di dare voce e dignità ai contadini messicani della California. 

Lui che ha vinto il Nobel per la letteratura poi ha riacciuffato il sogno che accarezzava sin da bambino, col primo libro che lo aveva conquistato: è andato in Europa, ha regalato la sua penna alle vicende di Re Artù e dei cavalieri della Tavola Rotonda. Ma ora, dove è finita l'America?

L'America non è New York, come la Francia non è Parigi. Più facile che si possa trovare nelle parole che si ascoltano al banco di un bar o negli odori sul ciglio della strada. Da venticinque anni non toccavo il paese. Così dice e venticinque anni sono tanti, sono ancora di più se si misurano col calendario della nostalgia. Quando era più giovane, quando il lusso era viggiare su un furgone scassato e fermarsi dove si fermava la gente. 

Ecco, di tutto questo ha bisogno John Steinbeck, premio Nobel. Rimettersi per strada e toccare il suo paese. Così attrezza un  furgoncino che pare restituirgli l'ebbrezza della gioventù - ma che ribattezza Ronzinante. Per compagno sceglie Charley, un barboncino che saprà contendergli il ruolo di protagonista. Poi una bella mattina si lascia dietro la casa, la moglie e un bel po' di altre certezze.

Viaggi con Charley alla ricerca dell'America (Bompiani edizioni) racconterà tutto ciò che è successo nelle settimane successive, con un'intensità che rammento in pochi altri libri americani, senz'altro Strade blu di William Least-Heat Moon, senz'altro Mille miglia in cammino fino al Golfo del Messico di John Muir, molto altro non mi viene in mente.

Dentro c'è l'America profonda, c'è l'America che non è New York, l'America anni Sessanta che fa parte del mio, del vostro immaginario. Ma c'è soprattutto l'esperienza del viaggio, la considerazione di ciò che il viaggio può produrre a chi viaggia. 

Fin dalle prime pagine: 

Un viaggio è come un matrimonio. La maniera sicura per sbagliare è credere di tenerlo sotto controllo. 

E perché mai, se così si è più giovani davvero.











 

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