lunedì 16 novembre 2020

Principe o calciatore di periferia, quando è duro crescere


Nel giro di poche settimane avevo perso mio padre, mia madre, mio fratello e Ninnina, in modo differente, come se tutti avessero altre incombenze, avessero deciso di rinchiudersi in se stessi per affrontare la situazione, in un luogo più sicuro in cui stare, senza di me.

Non sono mai stato del tutto convinto della frase del grande Tolstoi sulle famiglie felici che si somigliano tutte e sulle famiglie infelici che invece lo sono ognuno a modo suo. Ne sono più convinto ora che ho letto Il principe delle arene candide di Massimo Granchi, altro bel libro pubblicato da Arkadia, insieme storia di una famiglia infelice senza essere votata all'infelicità e storia di formazione di un ragazzo che di quell'infelicità porterà a lungo i segni.

Cagliari, anni Novanta, un'ambientazione per me poco usuale. La famiglia di Edoardo vive in un quartiere residenziale in prossimità del mare, pare di vedere la luce, pare di sentire la brezza sulla pelle. C'è il lavoro, c'è un buon livello di vita, i giorni non sono ipotecati da particolari assilli. 

Solo che anche la migliore famiglia, la più serena, è un incastro complesso di affetti, passioni, interessi. Viene in mente lo Shangai, quel gioco un tempo di moda in cui bisognava sottrarre uno a uno i bastoncini senza muovere gli altri. 

Facile a dirsi. A volte viene meno una persona e tutto viene giù. A casa di Edoardo tutto precipita con la morte della nonna: chi l'avrebbe detto, era lei il porto sicuro, il riparo per ogni tempesta, la rete che teneva tutto insieme.

Comincia così, il resto è una parabola di disfacimento e poi una possibilità di riscatto, che non starò a raccontare, ma di cui consiglio caldamente la lettura. 

Si capisce che Massimo è nel suo, quando si ritrova tra le mura di una casa e può dipanare la matassa delle relazioni familiari. Così come quando può ripercorrere la fatica dell'adolescenza, quel crescere che non è mai solo una strada che si allunga davanti. Piuttosto a volte è come una partita in un campo di periferia, fango ai polpacci, sbucciature e un esame di coraggio a ogni contrasto.



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