martedì 18 novembre 2014

La notte di Romain sarà calma

Ci sono persone che conosco a malapena che si confidano con me con una facilità davvero sorprendente. Non so proprio perché lo facciano: sono portato a credere che sia perché sanno che non sono della polizia.

Il mestiere di madre, lo sai, è piuttosto mal pagato. La mia, almeno, ha avuto diritto a un libro.

Sì, odio ogni forma di intransigenza morale, l'umano è una festa popolare.

Tutti possono sbagliare, come diceva il porcospino scendendo da una spazzola per abiti.

Conosco un uomo molto distinto che in tutta la sua vita non è mai riuscito a votare, perché dare un voto a un altro che non sia lui lo manda in bestia.


Ecco, potrei continuare per un pezzo, anzi, allungarmi in un post dietro l'altro di questo blog, citazione dopo citazione, prima di finirla. Ovvero, prima di esaurire questa autentica miniera di saggezza e provocazione, buon senso e trasgressione che è La notte sarà calma di Romain Gary (Neri Pozza).

Solo uno come lui poteva scrivere un'autobiografia così, un'autobiografia che non è un'autobiografia, ma l'ennesimo tiro mancino che si è concesso, nel corso di una vita in cui, tra moltissime cose fatte, forse si è impegnato davvero solo per fuggire da se stesso.

Ebreo lituano naturalizzato, ma anche quintessenza del francese secondo ogni stereotipo e aspettativa. Raffinato intellettuale e sovvertitore di ogni discorso davvero serio. Eroe di guerra e diplomatico quasi contro se stesso e certamente per il gioco delle circostanze. Scrittore acclamato ma anche deciso a nascondersi sotto molteplici nomi fittizi. Innamorato della vita e suicida, un giorno a Parigi, poche ore dopo aver acquistato e indossato una magnifica vestaglia rossa per non far notare troppo il sangue.

Chi è stato davvero Romain Gary? Nemmeno questa autobiografia, che non è un'autobiografia, ci sazia con le risposte, al contrario. Semmai ci abbaglia, ci seduce, ci depista. Ci lascia andare e poi, un attimo prima che sia troppo tardi, ci riprende. Figurarsi, un'autobiografia che in realtà è una finta intervista, con la parte dell'intervistatore assegnata a un amico di infanzia.

In fondo, lo stesso gioco degli pseudonimi con cui beffò perfino i giudici del Goncourt. La vita come un gioco maledettamente serio. Come del resto pretende anche il cognome, quello autentico. In russo bari non vuol dire forse "brucia"? La vita come gioco, la vita come fuoco.

Fiamme che a volte se ne stanno buone tra gli alari di un caminetto. E che altre volte non si lasciano controllare.

Nessun commento:

Posta un commento

La Terapia del bar: Massimiliano Scudeletti racconta il circo che si fece bar

  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...