Ogni volta che se ne va uno dei testimoni ho più paura del silenzio e allo stesso tempo avverto su di me un'altra responsabilità.
E' quello che ho provato l'altro giorno venendo a sapere della scomparsa di Silvano Lippi, due volte scampato agli orrori della guerra, prima il naufragio dell'Oria (la più terribile e dimenticata delle tragedie del Mediterraneo, con le sue 4.200 giovani vite inghiottite) e poi il campo di concentramento di Mauthausen.
Da sopravvissuto, per una fortuita serie di circostanze, Silvano Lippi è stata voce necessaria per tessere quei pochi fili della memoria che, per quanto mi riguarda, ho provato a tenere insieme in La gavetta in fondo al mare: storia che, per un'altra fortuita serie di circostanze, è entrata nella mia vita e non mi ha più abbandonato. Le parole di quel monologo mi risuonano ancora dentro, sono ancora rabbia, indignazione, commozione. Ma non sono ancora niente rispetto alla sofferenza di Silvano Lippi, della sua lunga vita segnata per sempre e alleviata solo dalla possibilità della testimonianza.
Una nave è attraccata alla banchina in attesa dell'imbarco di questi soldati. Il piroscafo comincia ad inghiottire il suo smisurato carico umano. È subito incomprensibile come il ventre della nave possa contenere un così grosso numero di persone. Quando il carico è al completo viene chiuso ermeticamente il boccaporto.
E' quello che ho provato l'altro giorno venendo a sapere della scomparsa di Silvano Lippi, due volte scampato agli orrori della guerra, prima il naufragio dell'Oria (la più terribile e dimenticata delle tragedie del Mediterraneo, con le sue 4.200 giovani vite inghiottite) e poi il campo di concentramento di Mauthausen.
Da sopravvissuto, per una fortuita serie di circostanze, Silvano Lippi è stata voce necessaria per tessere quei pochi fili della memoria che, per quanto mi riguarda, ho provato a tenere insieme in La gavetta in fondo al mare: storia che, per un'altra fortuita serie di circostanze, è entrata nella mia vita e non mi ha più abbandonato. Le parole di quel monologo mi risuonano ancora dentro, sono ancora rabbia, indignazione, commozione. Ma non sono ancora niente rispetto alla sofferenza di Silvano Lippi, della sua lunga vita segnata per sempre e alleviata solo dalla possibilità della testimonianza.
Una nave è attraccata alla banchina in attesa dell'imbarco di questi soldati. Il piroscafo comincia ad inghiottire il suo smisurato carico umano. È subito incomprensibile come il ventre della nave possa contenere un così grosso numero di persone. Quando il carico è al completo viene chiuso ermeticamente il boccaporto.
In realtà anche la sua vita forse è finita lì, quel giorno sulla banchina, quando fu tra gli ultimi a salire sull'Oria già stracolma, tanto che per lui non si trovò posto. Così fu fatto discendere, al contrario delle altre migliaia di ragazzi, pigiati nelle stive come sardine.
In questo modo si salvò. O in questo modo morì lo stesso, per diventare un altro Silvano Lippi chiamato ad altre cose.
Ora non c'è più. Quel silenzio lo sento e ne ho davvero paura. Meno male che ha fatto in tempo a passare il testimone ad altre persone. Meno male che ovunque in Italia si stanno finalmente ritrovando e riconoscendo i familiari delle vittime dell'Oria: chi li fermerà più, a questo punto?
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