Uno prende e se ne va altrove. Quel che si è
lasciato alle spalle resta lì e lo osserva mentre se ne va. Nell'inverno
del Sessantacinque Yonatan Lifschitz decise di mollare sua moglie e il
kibbutz in cui era nato e cresciuto. S'era messo in testa di cominciare
una nuova vita.
Comincia così, in questo modo fulminante, quasi conclusivo, Una pace perfetta di Amos Oz, libro che mi sono deciso a leggere dopo essersene rimasto parecchio tempo sulla mia pila delle letture in attesa. Vai a sapere, non mi fidavo troppo, rischiava di essere un mattone. Certo conservavo ancora l'incanto di Una storia di amore e di tenebra, lettura non meno impegnativa, anzi. Certo era stato proprio grazie ad Amos Oz che avevo compreso qualcosa di più di Israele. Però....
Però ti capita di aprire questo libro e cogliere questo incipit: uno prende e se ne va altrove. Parole che richiamano qualcosa, che mettono in movimento la curiosità. Parole in cui qualche volta, nella mia vita avrei voluto riconoscermi. S'era messo in testa di cominciare una nuova vita. Se solo ci fosse stata l'occasione. Se solo non mi fosse mancato il coraggio.
E dunque, è molte cose questo libro di magnifica scrittura e affascinante complessità. Anzi, poteva essere un libro solo con alcune di queste cose, e sarebbe bastato: perché ci accompagna dentro un kibbutz, cioé dentro un mondo che voleva costruire un altro mondo; perché ci racconta impietosamente un'epoca di passaggio, di pionieri invecchiati, di ideali appannati, di giorni che non sono come ci si era immaginato, benché molti traguardi siano stati tagliati, e forse proprio per questo; perché ci spiega molte cose di Israele, colta alla vigilia della Guerra dei Sei Giorni.
Poteva essere anche un libro sul complesso passaggio di consegne tra una generazione e un'altra, passaggio che tristemente, ma forse anche necessariamente, è più di responsabilità che di convinzioni. E anche questo sarebbe bastato.
E invece è in primo luogo un grande romanzo sulla libertà. Sulla libertà e sulla terra in cui essa deve esprimersi. Sulla libertà che può oltrepassare i confini. Con tanto Baruch Spinoza dentro: e la cosa non spaventi.
Il resto è la grande capacità di narrazione di Amos Oz. E mi rimarrano dentro a lungo Yonatan, il ragazzo che voleva cominciare una nuova vita, Azariah, così strampalato, così ingenuo, così capace di cambiare le vite altrui con la sua affabulazione. Mi rimarranno dentro a lungo pagine quali il picnic dei ragazzi del kibbutz al villaggio arabo abbandonato. Pagine che mi sembra dicano più di qualsiasi saggio su Israele e sul suo dramma.
Comincia così, in questo modo fulminante, quasi conclusivo, Una pace perfetta di Amos Oz, libro che mi sono deciso a leggere dopo essersene rimasto parecchio tempo sulla mia pila delle letture in attesa. Vai a sapere, non mi fidavo troppo, rischiava di essere un mattone. Certo conservavo ancora l'incanto di Una storia di amore e di tenebra, lettura non meno impegnativa, anzi. Certo era stato proprio grazie ad Amos Oz che avevo compreso qualcosa di più di Israele. Però....
Però ti capita di aprire questo libro e cogliere questo incipit: uno prende e se ne va altrove. Parole che richiamano qualcosa, che mettono in movimento la curiosità. Parole in cui qualche volta, nella mia vita avrei voluto riconoscermi. S'era messo in testa di cominciare una nuova vita. Se solo ci fosse stata l'occasione. Se solo non mi fosse mancato il coraggio.
E dunque, è molte cose questo libro di magnifica scrittura e affascinante complessità. Anzi, poteva essere un libro solo con alcune di queste cose, e sarebbe bastato: perché ci accompagna dentro un kibbutz, cioé dentro un mondo che voleva costruire un altro mondo; perché ci racconta impietosamente un'epoca di passaggio, di pionieri invecchiati, di ideali appannati, di giorni che non sono come ci si era immaginato, benché molti traguardi siano stati tagliati, e forse proprio per questo; perché ci spiega molte cose di Israele, colta alla vigilia della Guerra dei Sei Giorni.
Poteva essere anche un libro sul complesso passaggio di consegne tra una generazione e un'altra, passaggio che tristemente, ma forse anche necessariamente, è più di responsabilità che di convinzioni. E anche questo sarebbe bastato.
E invece è in primo luogo un grande romanzo sulla libertà. Sulla libertà e sulla terra in cui essa deve esprimersi. Sulla libertà che può oltrepassare i confini. Con tanto Baruch Spinoza dentro: e la cosa non spaventi.
Il resto è la grande capacità di narrazione di Amos Oz. E mi rimarrano dentro a lungo Yonatan, il ragazzo che voleva cominciare una nuova vita, Azariah, così strampalato, così ingenuo, così capace di cambiare le vite altrui con la sua affabulazione. Mi rimarranno dentro a lungo pagine quali il picnic dei ragazzi del kibbutz al villaggio arabo abbandonato. Pagine che mi sembra dicano più di qualsiasi saggio su Israele e sul suo dramma.
Nessun commento:
Posta un commento