venerdì 8 agosto 2014

Quanto costò quella guerra fatta quasi per gioco

 Figurarsi che noi ce la siamo praticamente dimenticata, ci siamo lasciati scappare anche l'occasione del centenario. Giusto qualche reminiscenza dei tempi di scuola, prima di un'alzata di spalle, prima di andare avanti: una guerricciola da niente, di quelle che non fanno troppo male.

Poi arriva un libro come La Scintilla di Franco Cardini e Sergio Valzania, pubblicato ne Le Scie di Mondadori, e la prospettiva cambia non poco. Perché, ci spiegano i due storici, la guerra di Libia non è stata solo una conquista piena di pagine ingloriose, crudeli, scellerate. Peggio, molto peggio, perché è stato con quell'impresa, chiamiamola così, voluta dall'Italia sostanzialmente per ragioni di politica interna, che il mondo intero si è messo in movimento, oltre ogni previsione e capacità di controllo, fino a precipitare nella voragine della Grande Guerra.

Certo, non "la" causa, la ragione di tutto.  Piuttosto la piuma che aggiunta al peso fa franare tutto. La scintilla, appunto, che appicca il fuoco alla polveriera. C'era già prima, la polveriera, ma chi c'è entrato dentro in quel modo?

Fino a quel momento l'Europa aveva saputo controllare le tensioni, gestire le crisi, trovare una via di uscita. Ma da quando gli italiani sbarcarono sull'altra sponda del Mediterraneo, per appropriarsi di quello "scatolone di sabbia", senza nemmeno sospettare l'esistenza del petrolio, niente fu come prima.

L'impero ottomano dimostrò una volta per tutte la sua irrimediabile debolezza. Sui relativi appetiti si scatenarono due guerre balcaniche. Soprattutto in cancellerie di Stato e quartier generali si diffuse l'idea che la guerra potesse essere un buon modo di risolvere la crisi: rapido e abbastanza indolore, una sorta di Risiko per rettificare confini ed equilibri.

Poi successe tutto quello che è successo. In Tripolitania e in Cirenaica cominciò davvero il secolo breve della lunga guerra. E tutto per un'avventura su cui, ancora oggi, rimane il giudizio senz'appello di Gaetano Salvemini, un uomo quale ce ne vorrebbero molti ancora oggi in Italia, ma che ha avuto il problema di essere compreso solo troppo tardi:

Sia il quando, sia il perché, sia il come dell'impresa libica non si spiegano, se non tenendo presenti la incultura, la leggerezza, la facile suggestionabilità, il fatuo pappagallismo delle classi dirigenti italiane.

Un libro da meditare. 

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