Non esiste un luogo fisico che incarna il nostro ideale. E per quanto l'ammissione sia dolorosa, è necessario farci i conti fin da subito. In questo lavoro mi sforzerò di non proiettare sulla vicenda islandese i desideri di una società più giusta, di una rivalsa popolare sulle istituzioni finanziarie mondiali; cercherò di essere il più oggettivo possibile, pur senza la pretesa di essere imparziale.
Ecco, così mette le mani avanti Andrea Degl'Innocenti, nelle prime pagine del suo Islanda chiama Italia (Arianna editrice), per mantenere poi la promessa: così che ci sa raccontare una delle storie più straordinarie -e per quanto ci riguarda ignorate - degli ultimi anni, senza fare dell'Islanda una sorta di di Paradiso in terra riscattato dopo il Purgatorio del crack finanziario, o anche soltanto di paese modello, dato che da molto tempo siamo rimasti decisamente a corto di paesi modello.
Non è l'Ultima Thule, l'Islanda, e non è il nemmeno la terra felice di un popolo beato tra i ghiacci, i banchi di pesce e le acque calde dei geyser. Piuttosto è il paese che non troppo tempo fa è stato occupato da una nuova generazione di Vichinghi, spregiudicata e famelica. Predatori che non sono arrivati da altre isole con i loro drakkar, ma dai territori del Far West della finanza.
In poco tempo hanno saccheggiato un intero paese, primo nel mondo a fare bancarotta. Erano i tempi in cui dell'Islanda si parlava solo per quel vulcano dal nome impossibile che mise in ginocchio il mondo intero. Nel frattempo gli islandesi reagivano con la loro "rivoluzione silenziosa". Mandarono a casa tutti i responsabili del disastro e respinsero con ben due referendum la tentazione di far pagare a tutti i cittadini le malefatte delle banche, più forti anche dei diktat dei poteri forti internazionali. Scrissero una nuova costituzione, con un metodo senza precedenti.
Islanda chiama Italia: solo il titolo, auspicio che faccio mio ma che temo difficile, si sottrae al rigore e alla forza di questo libro, che è molte cose insieme, forse anche più di quanto pronosticasse lo stesso autore: saggio sull'economia dei nostri tempi, reportage, ma anche bel libro di viaggio.
Ecco, così mette le mani avanti Andrea Degl'Innocenti, nelle prime pagine del suo Islanda chiama Italia (Arianna editrice), per mantenere poi la promessa: così che ci sa raccontare una delle storie più straordinarie -e per quanto ci riguarda ignorate - degli ultimi anni, senza fare dell'Islanda una sorta di di Paradiso in terra riscattato dopo il Purgatorio del crack finanziario, o anche soltanto di paese modello, dato che da molto tempo siamo rimasti decisamente a corto di paesi modello.
Non è l'Ultima Thule, l'Islanda, e non è il nemmeno la terra felice di un popolo beato tra i ghiacci, i banchi di pesce e le acque calde dei geyser. Piuttosto è il paese che non troppo tempo fa è stato occupato da una nuova generazione di Vichinghi, spregiudicata e famelica. Predatori che non sono arrivati da altre isole con i loro drakkar, ma dai territori del Far West della finanza.
In poco tempo hanno saccheggiato un intero paese, primo nel mondo a fare bancarotta. Erano i tempi in cui dell'Islanda si parlava solo per quel vulcano dal nome impossibile che mise in ginocchio il mondo intero. Nel frattempo gli islandesi reagivano con la loro "rivoluzione silenziosa". Mandarono a casa tutti i responsabili del disastro e respinsero con ben due referendum la tentazione di far pagare a tutti i cittadini le malefatte delle banche, più forti anche dei diktat dei poteri forti internazionali. Scrissero una nuova costituzione, con un metodo senza precedenti.
Islanda chiama Italia: solo il titolo, auspicio che faccio mio ma che temo difficile, si sottrae al rigore e alla forza di questo libro, che è molte cose insieme, forse anche più di quanto pronosticasse lo stesso autore: saggio sull'economia dei nostri tempi, reportage, ma anche bel libro di viaggio.
mi trasferisco!
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