lunedì 23 dicembre 2013

Il bello delle presentazioni è che i libri non sono gli stessi

Finito un bel giro di presentazioni del mio ultimo libro, Il babbo era un ladro, posso almeno dire una cosa: non so quanto sono riuscito a motivare alla lettura chi per caso o per sua responsabilità è stato a sentirmi; ma in ogni caso io ora ne so un po' di più di cosa ho scritto.

Per esempio quella sera alla Biblioteca delle Oblate, quando un lettore attento e rigoroso come Leandro Piantini ha puntato il dito su tre parole di una frase che sulla pagina sembrava finita quasi per caso: Era anche altro, per poi assicurare: questa frase è l'architrave della storia. Ora questa frase suona diversa anche per me.

O come la volta dopo, a Palazzo Medici Riccardi, quando un poeta e amico come Michele Brancale ha affermato che il vero tema del libro era il tempo che fugge e che questa, malgrado il titolo, non è una storia di furti da codice penale, ma una storia di furti esistenziali. E io me lo sono appuntato, perché, tra l'altro, è una cosa bella da dire.

O come l'altra sera a Gaeta quando un'altra persona che con la poesia ha molta confidenza, Sandra Cervone, ha spiegato che il filo comune dei miei libri è il rapporto tra genitori e figlio. E questo non me n'ero mai accorto, ma poi ho pensato a Una famiglia, a Una domenica come le altre, e mi sono detto: chissà forse è proprio così, forse è questo il nodo che ancora non ho sciolto, forse invece che scrivere altri libri prima o poi dovrò pensare al lettino dello psicanalista.

Il bello delle presentazioni mi sa che è proprio questo, anche se lo può apprezzare solo l'autore. Che ci si arricchisce con altri punti di vista. Che le parole di altre letture ci restituiscono libri diversi.

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