giovedì 6 settembre 2012

Quel meridione che è metafora di ogni meridione

Primavera. Primavera dintorno nella mia mente, brilla nell'aria lontana, non qui, non ancora. Ti aspetto, afa crudele, ma tu non vieni mai sul serio, tu te ne stai a Hora ai primi di giugno, ti vedo tremolare come gelatina, potre tagliarti col coltello, mangiarti per provare il tuo sapore. Sento la testa che mi gira, i pantaloni che si gonfiano, e corro lungo la stradina tra gli orti, inebriato dalle siepi di sambuco, dalle margherite, dai papaveri, quasi ruzzolo per il giramento di testa, e finalmente sono davanti al mio fico gigante, ne discosto i rami con affetto ed entro nella mia grotta. C'è Claudia, a volte che mi aspetta.

Solo una voce, l'assaggio di un capitolo, una manciata di righe per capire cosa vi troverete sotto gli occhi La moto di Scanderbeg di Carmine Abate, romanzo intriso di poesia, romanzo corale, romanzo che ci accompagna in un angolo dimenticato del mondo - perchè questa è la Calabria delle antiche comunità di lingua albanese - per restituirci a una lingua universale, a un meridione che non è solo questo meridione, ma come è stato detto  - credo da Vincenzo Consolo - è "metafora di ogni meridione del mondo".

Non conoscevo - mea culpa - i libri di Carmine Abate e anche questo l'ho acquistato, per così dire, senza premeditazione, colpito da un titolo che attribuiva una moto al mitico condottiero albanese dei tempi degli ottomani. Mi ha fatto bene la curiosità, anche questa volta.

Era da parecchio che, nelle mie letture, mi mancava un Sud come quello di Abate. Un Sud che sa essere allo stesso tempo dentro e fuori il tempo. Un Sud che si aggrappa alle sue radici, ma che è anche smarrimento, abbandono, emigrazione. Che vive di ciò che il padre consegna al figlio, ma anche di orizzonti che si schiudono all'improvviso. 

Perché il figlio di questa terra può spingersi fino in Germania - cominciare un'altra vita in un paese dove le cose, si dice, funzionano - tranne poi capire che nel futuro c'è anche il ritorno. Con quei colori, quei profumi. Con quella bellezza affaticata che sa di famiglia.


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