Il fronte è morte prima ancora della morte. Morte di ciò che è stato prima, taglio netto con le persone e le cose del passato. Il fronte è quella terra davanti, dove prima o poi si giocherà la partita decisiva. Il fronte è l'attesa, perché non è vero che in prima linea si combatte sempre, più che altro si attende il momento, si attende e ci si interroga.
Pensare che la Grande Guerra era stata salutata con gioia dai giovani di mezza Europa. L'ora che diventava storia, il momento del riscatto. Esplosione di libertà, ebbrezza collettiva.
Avevano fatto la fila agli uffici di reclutamento per scoprire che la guerra è solo macello, industria del macello. Tecnologia industriale al servizio della morte. Catena di montaggio e mattatoio. E l'uomo era finito stritolato dagli ingranaggi, come in Tempi moderni di Charlie Chaplin. Solo, impotente. Se c'era stata una rivoluzione era stata delle cose, e aveva fatto fuori l'uomo.
Tutta qui, la guerra di trincea: il nemico che non si vede e tu che provi a sottrarti alla tua vista. Un pericolo che incombe anche se fuori, per quello che puoi vedere, non c'è niente.
Di tutto questo parla Eric J. Leed in Terra di nessuno (Il Mulino), libro che racconta come l'uomo è cambiato nell'esperienza della Grande Guerra. Libro complesso, libro importante, perché si è salvato poi non è più stato lo stesso.
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