martedì 1 maggio 2012

Quando i giornalisti raccontano l'isola che non c'è

Le onde sono alte, troppo alte. Lo pensavo anche qualche ora fa sul barcone, ma ora mi sembrano veramente immense. Ogni volta che arriva l'onda penso che sia l'ultima cosa che vedrò nella vita. Misericordioso. Compassionevole. Santo. Potente. Creatore. Ogni tanto mi rivolgo all'Immenso: è l'unico modo per avere un po' di forza. Novantanove nomi per novantanove momenti angoscia. E poi ricomincio. Non so quanto tempo possa essere passato. 

Lampedusa isola senza tempo, si legge, e verrebbe da pensare a un depliant turistico, a ciò che si dice per attrarre eserciti di spensierati vacanzieri. Però cosa significa, se su questa isola arrivi da migrante in fuga da troppe cose, senza sapere se Lampedusa sarà ponte o vicolo cielo, cimitero di speranza o nuovo inizio?

E' chiaro che il tempo è un altro tempo, allora. E' chiaro che si tratta di un infinito presente che ha teso la sua trappola e che la trama si è impantanata senza che le sue storie si possano sciogliere, in un senso o nell'altro. E' chiaro che ha ragione Lucia Magi, giornalista di El Paìs, che nella postfazione a questo libro scrive:

L'isola che non c'è scompare soprattutto fra le pieghe di un passato che si vuole allontare e di un futuro che non sa cominciare.

Lampedusa. Cronache dell'isola che non c'è - uscito per la casa editrice romana Edizioni Ensemble - fotografa questo limbo, questa attesa, questo presente, nei lunghi mesi in cui Lampedusa è stato sinonimo di emergenza, più o meno strumentalizzata politicamente, più o meno maldigerita dal circo mediatico.

Gli autori, Laura Bastianetto e Tommaso Della Longa, sono due giornalisti professionisti. Il loro mestiere più volte li ha portati dentro i disastri del nostro presente. Per raccontare "l'isola che non c'è", però, non scelgono la strada - più scontata - del reportage, dell'inchiesta giornalista.

Il giornalismo, in questo caso, si mette al servizio delle vite, presta loro la voce. Ne viene fuori un racconto corale, che sa essere allo stesso tempo autentico e dolorosamente poetico.

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