Un libro sullo sport, dunque? Non preoccuparti, "pavido" editore. Questo è un libro sui pretesti
Mi sa che ha ragione Gabriele Romagnoli, in una recensione che non è una recensione, che piuttosto è anch'essa un pretesto, uno splendido pretesto, soprattutto per parlare di un grande della nostra cultura che troppo presto ci è venuto meno, Edmondo Berselli.
Il più mancino dei tiri è un libro di pretesti, di allusioni (e illusioni?) ambulanti, di nostalgia canaglia. E' un frullato di citazioni e rivelazioni, di collegamenti scoperti e rivendicati, di evasioni e dissacrazioni.
Un libro dove le punizioni di Mariolino Corso (le foglie morte dell'Inter degli anni mitici) evocano i fatali amori di Juliette Gréco, dove gli autogol annunciati di Comunardo Niccolai scatenano una riflessione sulle possibilità dell'autoprofezia, dove le preoccupazioni di un portiere come Enrico Albertosi - non si sa dove andiamo a parare, non male per un portiere - diventano occasione di riflessioni sulle pagine errabonde di Sterne o Musil.
E poi ci sono Bob Dylan e Karl Kraus, la Divina Commedia e i presocratici, Giulio Andreotti e Walter Matthau.... e a proposito, era quest'ultimo che, nella parte di giudice della Corte Suprema in Una notte con vostro onore sentenziava:
Diffidate di chi ha la scrivania sgombra. Di sicuro è uno che nasconde tutto nei cassetti. E se non ha niente neanche nei cassetti, a che diavolo gli serve una scrivania?
La scrivania, mi sa, Edmondo Berselli ce l'aveva. Però per questo libro non si fa sforzo a pensare una scrivania senza carte sopra di essa, oppure nei cassetti. Almeno è questo che che Berselli rivendica: conta solo la divagazione, secondo i venti e le correnti del grande oceano di carta; conta solo ciò che si ricorda.
Perché poi la pagina più fantastica è quella di Fernand Braudel, il grande storico francese, che prigioniero durante la seconda guerra mondiale riesce a scrivere niente meno che lo straordinario Civiltà e imperi del Mediterraneo nell'età di Filippo II. Nella baracca di un campo, senza poter consultare niente.
E a modo suo anche Berselli, sospinto dagli elisei della memoria e del piacere affabulatorio: ci sia Gianni Rivera o Marcel Proust. Solo ciò che si ricorda conta nella vita.
Mi sa che ha ragione Gabriele Romagnoli, in una recensione che non è una recensione, che piuttosto è anch'essa un pretesto, uno splendido pretesto, soprattutto per parlare di un grande della nostra cultura che troppo presto ci è venuto meno, Edmondo Berselli.
Il più mancino dei tiri è un libro di pretesti, di allusioni (e illusioni?) ambulanti, di nostalgia canaglia. E' un frullato di citazioni e rivelazioni, di collegamenti scoperti e rivendicati, di evasioni e dissacrazioni.
Un libro dove le punizioni di Mariolino Corso (le foglie morte dell'Inter degli anni mitici) evocano i fatali amori di Juliette Gréco, dove gli autogol annunciati di Comunardo Niccolai scatenano una riflessione sulle possibilità dell'autoprofezia, dove le preoccupazioni di un portiere come Enrico Albertosi - non si sa dove andiamo a parare, non male per un portiere - diventano occasione di riflessioni sulle pagine errabonde di Sterne o Musil.
E poi ci sono Bob Dylan e Karl Kraus, la Divina Commedia e i presocratici, Giulio Andreotti e Walter Matthau.... e a proposito, era quest'ultimo che, nella parte di giudice della Corte Suprema in Una notte con vostro onore sentenziava:
Diffidate di chi ha la scrivania sgombra. Di sicuro è uno che nasconde tutto nei cassetti. E se non ha niente neanche nei cassetti, a che diavolo gli serve una scrivania?
La scrivania, mi sa, Edmondo Berselli ce l'aveva. Però per questo libro non si fa sforzo a pensare una scrivania senza carte sopra di essa, oppure nei cassetti. Almeno è questo che che Berselli rivendica: conta solo la divagazione, secondo i venti e le correnti del grande oceano di carta; conta solo ciò che si ricorda.
Perché poi la pagina più fantastica è quella di Fernand Braudel, il grande storico francese, che prigioniero durante la seconda guerra mondiale riesce a scrivere niente meno che lo straordinario Civiltà e imperi del Mediterraneo nell'età di Filippo II. Nella baracca di un campo, senza poter consultare niente.
E a modo suo anche Berselli, sospinto dagli elisei della memoria e del piacere affabulatorio: ci sia Gianni Rivera o Marcel Proust. Solo ciò che si ricorda conta nella vita.
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