Poiché Dio con mano benevola ti ha fatto due doni,
un massacro e una primavera:
il giardino fioriva, il sole splendeva
e il massacratore massacrava...
la lama riluceva, e dalla ferita
sgorgava sangue e oro...
E' come un pugno allo stomaco, Nella città del massacro di Chaim Nachman Bialik, poeta ebreo di Ucraina che nel 1903 fu spedito nella città di Kishinev per stilare un rapporto su un terribile pogrom. E' un pugno, ma un pugno che fa bene, perché toglie al mondo qualche alibi (non sono stati solo i nazisti...) e perché ci regala molto di più di una testimonianza di dolore, sbigottimento, indignazione.
E' grande poesia - quella che Bialik ci porta in dono e che la casa editrice Il Melangolo ci ripropone con la sua capacità di recuperare piccole grandi gemme da altre epoche; grande poesia che misura la ferocia di cui è capace l'uomo, così come la sua incredibile possibilità di sottomissione e rassegnazione.
Però c'è una cosa che mi ha particolarmente incuriosito, il fatto che Bialik, che è anche uno dei padri della poesia ebraica moderna, scriva questo canto in due lingue, l'ebraico e l'yiddish. Come se traducesse se stesso. Come se si mettesse in gioco in due lingue. E che non si tratti solo di passare da un vocabolario all'altro, è spiegato bene nell'introduzione.
All'ebraico, spiega infatti Rosa Alessandra Cimmino, mancava l'impatto rude col quotidiano, ancora non era mai sceso per strada per imprecare o inveire, i suoi toni erano biblici, gravi, eterni
L'yiddish invece era la lingua dei villaggi, della vita di tutti i giorni, la lingua dell'uomo di strada: cruda, violenta, immediata come le macchie di colore di un quadro espressionistico.
Due lingue, un solo canto. Non a caso di un poeta che visse anche di traduzioni (come quelle in ebraico di classici europei come il Don Chisciotte e il Guglielmo Tell)
Due lingue - l'ebraico che ancora si deve affermare come lingua della vita quotidiana e l'yiddish che sta per essere spazzato via dall'orrore nazista - che è come si passassero il testimone, di fronte all'orrore.
un massacro e una primavera:
il giardino fioriva, il sole splendeva
e il massacratore massacrava...
la lama riluceva, e dalla ferita
sgorgava sangue e oro...
E' come un pugno allo stomaco, Nella città del massacro di Chaim Nachman Bialik, poeta ebreo di Ucraina che nel 1903 fu spedito nella città di Kishinev per stilare un rapporto su un terribile pogrom. E' un pugno, ma un pugno che fa bene, perché toglie al mondo qualche alibi (non sono stati solo i nazisti...) e perché ci regala molto di più di una testimonianza di dolore, sbigottimento, indignazione.
E' grande poesia - quella che Bialik ci porta in dono e che la casa editrice Il Melangolo ci ripropone con la sua capacità di recuperare piccole grandi gemme da altre epoche; grande poesia che misura la ferocia di cui è capace l'uomo, così come la sua incredibile possibilità di sottomissione e rassegnazione.
Però c'è una cosa che mi ha particolarmente incuriosito, il fatto che Bialik, che è anche uno dei padri della poesia ebraica moderna, scriva questo canto in due lingue, l'ebraico e l'yiddish. Come se traducesse se stesso. Come se si mettesse in gioco in due lingue. E che non si tratti solo di passare da un vocabolario all'altro, è spiegato bene nell'introduzione.
All'ebraico, spiega infatti Rosa Alessandra Cimmino, mancava l'impatto rude col quotidiano, ancora non era mai sceso per strada per imprecare o inveire, i suoi toni erano biblici, gravi, eterni
L'yiddish invece era la lingua dei villaggi, della vita di tutti i giorni, la lingua dell'uomo di strada: cruda, violenta, immediata come le macchie di colore di un quadro espressionistico.
Due lingue, un solo canto. Non a caso di un poeta che visse anche di traduzioni (come quelle in ebraico di classici europei come il Don Chisciotte e il Guglielmo Tell)
Due lingue - l'ebraico che ancora si deve affermare come lingua della vita quotidiana e l'yiddish che sta per essere spazzato via dall'orrore nazista - che è come si passassero il testimone, di fronte all'orrore.
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