Ora è solo un corpo impagliato, così come i cacciatori fanno con una qualsiasi preda: un pezzo da esposizione conservato sotto una bacheca, senza nemmeno un nome. Tutti lo chiamano semplicemente El Negro.
Ma chi era veramente quest’africano rimasto senza un’identità, senza una storia, senza una sepoltura?
Frank Westerman – giornalista free lance e specialista della cooperazione internazionale – lo scopre tanti anni fa in un piccolo museo di scienze naturali della Catalogna. Era un ragazzo fresco di studi, ma da allora si è dato da fare.
Per anni e anni non si è fermato, nel tentativo di restituire a questo corpo tutto quanto gli è stato sottratto, ai tempi in cui l’uomo bianco era chiamato a portare il suo “fardello” di civiltà e l’uomo nero era considerato alla stregua di una scimmia o poco più.
Da tutto questo viene fuori un viaggio appassionante, da Parigi al Perù, dalla Sierra Leone al Sudafrica. Un viaggio - e un libro, El Negro e io (Iperborea) - in cui ancora più che su quel uomo senza nome si finirà per imparare qualcosa su di noi.
Su di noi attraverso lo sguardo che abbiamo riservato al resto del mondo. Perché il modo in cui l’abbiamo guardato e lo guardiamo tradisce il nostro pensiero su razza e identità.
Davvero bello e peccato per un titolo che non gli rende giustizia. Di questo autore aspetto la prossima uscita, Ararat, con molta curiosità.
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