
Non so se si trova ancora in circolazione, non so se sarà ristampato il prossimo anno, in occasione del centenario della morte di Emilio Salgari, so solo che ho passato buona parte di questa pigra, indolente domenica pomeriggio a rileggermi quel piccolo grande capolavoro che è Vita, tempeste, sciagure di Salgari, il padre degli eroi di Giovanni Arpino e Roberto Antonetto.
Molto più di una biografia, piuttosto una navigazione nel mare aperto delle mie fantasie di adolescente (e non solo), sulle rotte di un mondo tutto da scoprire. Un libro che gira intorno a uno scrittore che per anni mi ha portato in lungo e in largo senza mai alzarsi dalla sua scrivania. Un libro, dunque, che si interroga sulle possibilità del mito e dell'immaginazione, mica poco.
Non l'ho terminato, l'ho lasciato su questa pagina, perché bastava a se stessa:
Senza Mompracem, era impossibile essere felici. Dopo Mompracem si è solo uomini, più o meno da marciapiedi, che trafficano e dolorano dimenticando quel sogno.
Poi: un attimo magari ad un semaforo rosso, magari davanti alla sequenza televisiva di un brutto film, torna quel brivido, che toccò un personaggio di Cesare Pavese:
... ha incrociato una volta,
da fuochista su un legno olandese da pesca, il cetaceo,
e ha veduto volare i ramponi pesanti nel sole,
ha veduto fuggire balene tra schiume di sangue
e inseguirle e innalzarsi le code e lottare alla lancia
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