
Sto tornando a leggere, anzi a centellinare come si fa con qualcosa che ci piace davvero molto, Negoziando con le ombre, straordinario libro con cui Margaret Atwood non si limita a raccontare la sua storia di scrittrice, il suo mondo narrativo, cosa interessante ma fino a un certo punto. Piuttosto ci prende per mano e ci porta oltre, verso i territori della lettura e della scrittura, per cercare di capire qual è la ragione per cui i libri entrano, e meno male, nella nostra vita.
Infiniti gli spunti e vi assicuro che ben presto le pagine di Margaret si tradurranno anche in qualche altra riflessione su questo blog. Una però voglio condividerla subito con voi. Ed è il rapporto tra l'opera e la vita dell'autore.
Tema vasto, vabbene, ma che Negoziando con le ombre affronta soprattutto dal punto di vista del lettore: quel genere di lettore che, innamorato dell'opera, va alla ricerca dell'autore, dell'autore come è davvero nella vita. Io sono tra questi: degli scrittori che per me contano cerco anche la biografia.
Domanda della Atwood:
Qual è la relazione tra le due "entità" che fondiamo in un unico nome, quello di "scrittore"? Quel particolare scrittore. Per "due", intendo la persona che esiste quando non scrive affatto - la persona che porta a spasso il cane, mangia crusca in nome della regolarità, fa lavare la macchina e così via - e quell'altro personaggio, più ombroso e nel complesso più equivoco, che condivide lo stesso corpo e che, quando nessuno guarda, se ne impadronisce e lo usa per cominciare a scrivere.
Bello: detto bene.
Subito dopo la nostra scrittrice ci dice dell'aforisma che tiene in bella evidenza, sulla bacheca del suo studio:
Voler conoscere un autore perché amate le sue opere è come voler conoscere un'oca perché vi piace il patè.
C'è del vero.
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