Perché era sabato sera, il momento più felice e festoso della
settimana, uno dei cinquantadue giorni di vacanza sulla lenta ruota
panoramica dell'anno, un violento preambolo a una domenica di
prostrazione.
Per Arthur, giovane operaio inglese, la febbre del sabato sera è un copione che si ripete: il giro dei pub, le sbronze, le risse, il sesso con donne sposate. Tutto quello che non c'è nel resto della settimana, perchè il resto è solo la routine del lavoro nella sua fabbrica di Nottingham.
L'adrenalina di questi fine settimana, il loro concentrato di pulsioni e trasgressioni, non cambieranno il mondo, anzi, non lasceranno niente se non un cerchio alla testa la domenica mattina. Eppure è tutto ciò che Arthur ha a disposizione per gridare il suo rifiuto contro una vita che per lui è già tutta scritta, faticare alla catena di montaggio e mettere su famiglia.
Prima di avventurarvi in queste pagine, osservate la data. Saturday Night e Sunday Morning (ripubblicato in Italia da Minimun Fax) è del 1958: un'altra Inghilterra, un altro mondo, quello delle grandi fabbriche e del benessere che non esclude più gli operai. Anche loro possono cominciare a sperare in una casa di proprietà, nella televisione, nella settimana al mare.
Arthur, in fondo, beneficia di ciò che altri hanno conquistato sul terreno dei diritti. Ha soldi in tasca - poco importa se se li sputtana in birre - e un giorno avrà la sua pensione. Eppure, in una vita in cui mancano le speranze, in cui è già assente ogni soggetto collettivo (per dirne uno, il sindacato), Arthur è solo, Arthur non ha futuro.
Alan Sillitoe - lo stesso scrittore di La solitudine del maratoneta, uomo che viene dall'Inghilterra delle industrie e del lavoro proletario - ci ha regalato un romanzo di esordio folgorante, capace di rappresentare tutta un'epoca, ma anche con un personaggio destinato a rimanere.
Poco importa che Arthur non sia assolutamente simpatico. Che molte volte vorresti fermarlo, prenderlo per le spalle, portarlo via dal disastro incombente. Qui c'è tutta una generazione che non è stata raccontata. Con una frattura che la separa dai padri e che non è quella del giovane Holden e tantomeno quella del Sessantotto.
Leggendolo ho pensato ad Arthur e poi ai ragazzi dei nostri anni con ancora meno futuro - dove è finito il lavoro? - e ancora meno capaci di intravedere una possibilità di protesta. Forse proprio questo libro del 1958 ci può aiutare a capire qualcosa in più. E magari a scorgere una qualche speranza all'orizzonte. Non fosse che per i lampi di tenerezza, improvvisi e disorientanti, che anche uno come Arthur sa manifestare.
Per Arthur, giovane operaio inglese, la febbre del sabato sera è un copione che si ripete: il giro dei pub, le sbronze, le risse, il sesso con donne sposate. Tutto quello che non c'è nel resto della settimana, perchè il resto è solo la routine del lavoro nella sua fabbrica di Nottingham.
L'adrenalina di questi fine settimana, il loro concentrato di pulsioni e trasgressioni, non cambieranno il mondo, anzi, non lasceranno niente se non un cerchio alla testa la domenica mattina. Eppure è tutto ciò che Arthur ha a disposizione per gridare il suo rifiuto contro una vita che per lui è già tutta scritta, faticare alla catena di montaggio e mettere su famiglia.
Prima di avventurarvi in queste pagine, osservate la data. Saturday Night e Sunday Morning (ripubblicato in Italia da Minimun Fax) è del 1958: un'altra Inghilterra, un altro mondo, quello delle grandi fabbriche e del benessere che non esclude più gli operai. Anche loro possono cominciare a sperare in una casa di proprietà, nella televisione, nella settimana al mare.
Arthur, in fondo, beneficia di ciò che altri hanno conquistato sul terreno dei diritti. Ha soldi in tasca - poco importa se se li sputtana in birre - e un giorno avrà la sua pensione. Eppure, in una vita in cui mancano le speranze, in cui è già assente ogni soggetto collettivo (per dirne uno, il sindacato), Arthur è solo, Arthur non ha futuro.
Alan Sillitoe - lo stesso scrittore di La solitudine del maratoneta, uomo che viene dall'Inghilterra delle industrie e del lavoro proletario - ci ha regalato un romanzo di esordio folgorante, capace di rappresentare tutta un'epoca, ma anche con un personaggio destinato a rimanere.
Poco importa che Arthur non sia assolutamente simpatico. Che molte volte vorresti fermarlo, prenderlo per le spalle, portarlo via dal disastro incombente. Qui c'è tutta una generazione che non è stata raccontata. Con una frattura che la separa dai padri e che non è quella del giovane Holden e tantomeno quella del Sessantotto.
Leggendolo ho pensato ad Arthur e poi ai ragazzi dei nostri anni con ancora meno futuro - dove è finito il lavoro? - e ancora meno capaci di intravedere una possibilità di protesta. Forse proprio questo libro del 1958 ci può aiutare a capire qualcosa in più. E magari a scorgere una qualche speranza all'orizzonte. Non fosse che per i lampi di tenerezza, improvvisi e disorientanti, che anche uno come Arthur sa manifestare.
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