lunedì 9 maggio 2016

Malgrado il defunto odiasse i pettegolezzi

Mosca, 14 aprile 1930, poco dopo le 11 del mattino: un colpo di pistola uccide il poeta e scuote la capitale del socialismo mondiale. Rimane un corpo, rimangono domande senza risposta e su tutte una: perché si è ucciso Vladimir Majakovskij?

E' da questo sparo, è da ciò che succede in quella minuscola stanza ricolma di libri, che prende le mosse Il defunto odiava i pettegolezzi di Serena Vitale (Adelphi), straordinario romanzo inchiesta che assembla documenti, articoli, testimonianze intorno a una morte che ha fatto fragore e scandalo.

Già, perché si è ucciso Majakovskij? Perché è venuto meno il sogno del socialismo o perché il socialismo è un abito che ormai gli stava troppo stretto? Perché il canotto dell'amore si è infranto contro gli scogli della vita circostante? O perché come poeta ha già dato il meglio e ormai poteva solo plagiare se stesso?

Vai a sapere, perché. Ma certamente non è una morte come le altre. Provoca parole a non finire, grandine di parole, valanga di parole. A partire dalla nomenklatura sovietica, irritata e imbarazzata da una morte così poco confacente al poeta della rivoluzione, eppure ben attenta a sgombrare il campo da ogni motivazione politica del suicidio. Per non dire di ciò che passa dalle labbra dei critici, dei giornalisti, dei letterati, dei rivali e delle amanti, dei cittadini che accorrono al funerale, diventato funerale di stato, celebrazione di massa, emozione collettiva. Ipotesi, ricordi, illazioni, naturalmente pettegolezzi, tanti pettegolezzi....

Non c'è verità in questa storia. Non c'è come non c'è davvero Vladimir. E' il posto vuoto, il convitato di pietra, mentre tutti parlano, mentre le parole si aggiungono alle parole e occupano ogni spazio, fin quasi a togliere il respiro.

Quello sparo è la pietra tombale per un'intera generazione di poeti della rivoluzione. Oltre  quel corpo, oltre le domande senza risposta, dopo rimangono solo una quantità di versi meravigliosi e forse un brivido di libertà. 

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