Sono librerie come la Belforte di Livorno, dove ero sabato per presentare Il babbo era un ladro e dove appena si entra si respira subito l'orgoglio di uno dei mestieri più belli del mondo - quello del libraio - a dispetto delle tante mortificazioni e dei conti che non tornano mai.
Sono luoghi di cultura coma la Libreria dei Lettori - un nome che dice già molto - aperta solo pochi mesi fa a Firenze, con una scelta per cui non mi basta di parlare di coraggio, perché poi è assolutamente vero quanto i suoi animatori hanno dichiarato in un intervista al Fatto quotidiano:
Sentiamo nell'aria il bisogno di spazi veri per le idee e per il dibattito. E se questo spazio non è la libreria, quale dovrebbe essere?
Sono librerie, non di catena, che in questi anni ho imparato a conoscere e a frequentare, soprattutto a Firenze e in Toscana, ma non solo. L'Orsa Minore a Pisa, Librorcia a Bagni Vignoni, la Forma del Libro a Padova, la Roma a Pontedera, Puntifermi o la Menabò a Firenze... solo le prime che mi vengono in mente, e per fortuna la lista è ancora lunga.
Di alcune di esse magari racconterò qualcosa nelle prossime settimane - qui e nel mio sito - però ora mi veniva solo da ringraziarle: per quanto stanno facendo, per il fatto di esistere. Mi piace pensare a ognuna di esse come a un presidio di cultura. Non solo posti dove si vende un genere molto particolare di prodotti, ma posti dove si può vivere la cultura, dove si può costruire socialità intorno alla cultura.
Non è retorica: mi sento un po' più ricco solo a indugiare davanti alle loro vetrine, in cui quasi sempre i libri rappresentano una scelta che va ben oltre i "suggerimenti" dei talk-show tv e dei "mi piace" su Facebook.
Quante librerie indipendenti ci saranno nel futuro? E quali sono le condizioni perché vivano - e perché no, vivano bene, non solo per uno spirito di servizio che oggi non si esige nemmeno da uno statista? Da un po' mi faccio queste domande, che credo non implichino nessuna nostalgia per un vecchio assistenzialismo di Stato. Ma che piuttosto hanno molto a che vedere con le politiche culturali di un paese che si pretenda civile.
Sarebbe bello cominciare a discuterne tutti insieme.
Sono luoghi di cultura coma la Libreria dei Lettori - un nome che dice già molto - aperta solo pochi mesi fa a Firenze, con una scelta per cui non mi basta di parlare di coraggio, perché poi è assolutamente vero quanto i suoi animatori hanno dichiarato in un intervista al Fatto quotidiano:
Sentiamo nell'aria il bisogno di spazi veri per le idee e per il dibattito. E se questo spazio non è la libreria, quale dovrebbe essere?
Sono librerie, non di catena, che in questi anni ho imparato a conoscere e a frequentare, soprattutto a Firenze e in Toscana, ma non solo. L'Orsa Minore a Pisa, Librorcia a Bagni Vignoni, la Forma del Libro a Padova, la Roma a Pontedera, Puntifermi o la Menabò a Firenze... solo le prime che mi vengono in mente, e per fortuna la lista è ancora lunga.
Di alcune di esse magari racconterò qualcosa nelle prossime settimane - qui e nel mio sito - però ora mi veniva solo da ringraziarle: per quanto stanno facendo, per il fatto di esistere. Mi piace pensare a ognuna di esse come a un presidio di cultura. Non solo posti dove si vende un genere molto particolare di prodotti, ma posti dove si può vivere la cultura, dove si può costruire socialità intorno alla cultura.
Non è retorica: mi sento un po' più ricco solo a indugiare davanti alle loro vetrine, in cui quasi sempre i libri rappresentano una scelta che va ben oltre i "suggerimenti" dei talk-show tv e dei "mi piace" su Facebook.
Quante librerie indipendenti ci saranno nel futuro? E quali sono le condizioni perché vivano - e perché no, vivano bene, non solo per uno spirito di servizio che oggi non si esige nemmeno da uno statista? Da un po' mi faccio queste domande, che credo non implichino nessuna nostalgia per un vecchio assistenzialismo di Stato. Ma che piuttosto hanno molto a che vedere con le politiche culturali di un paese che si pretenda civile.
Sarebbe bello cominciare a discuterne tutti insieme.
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