Ricordate Zelig, il personaggio di quel film capolavoro di Woody Allen?
Gad Lerner, nel suo Tu sei un bastardo. Contro l'abuso delle identità (Feltrinelli), parte proprio da lui, dalla sua irresistibile propensione alla metamorfosi, dalla sua smania di indossare i panni (e non solo i panni) degli altri per farsi accettare dagli altri.
Ci faceva sorridere Zelig, all'inizio degli anni Ottanta. Ma ora, a ripensarci, è quasi inevitabile un crampo di malinconia, dopo trent'anni di identità forti, di identità presuntuose, arroccate, indispettite, che nel mondo ne hanno combinate di tutti i colori. Pulizie etniche, fondamentalismi religiosi, muri per escludere l'altro: la nostra nuova guerra dei Trent'anni.
E dunque, sono contento di aver letto, anche se in ritardo, questo libro di Gad Lerner, un uomo che un po' Zelig nella vita lo è stato, a lungo reso apolide dalle correnti della Storia ma non immune, come tutti, alla tentazione di voler piantare le radici anche lui, magari in una bella campagna del Piemonte (tranne poi ricordare che gli uomini mica sono vegetali: se mettessero radici, morirebbero).
Non poteva che essere lui - uomo che riconosce come sapore di casa sia l'hummous mediorientale che il Gefiltefisch mitteleuropeo - a scrivere questo libro che è una bella boccata di ossigeno, quanto a tolleranza. Anzi, di più: quanto a capacità di mettere liberamente in gioco la propria identità, arricchendosi delle identità altrui.
Perché poi c'è una cosa comune a tutti coloro che in questi anni hanno praticato l'abuso di identità:
Di questi tempi le identità collettive, per maledizione storica generalizzata, si fondano tutte sulla ricerca di un qualsivoglia passato anziché sull'aspirazione a un futuro.
E di un futuro invece abbiamo proprio bisogno.
Gad Lerner, nel suo Tu sei un bastardo. Contro l'abuso delle identità (Feltrinelli), parte proprio da lui, dalla sua irresistibile propensione alla metamorfosi, dalla sua smania di indossare i panni (e non solo i panni) degli altri per farsi accettare dagli altri.
Ci faceva sorridere Zelig, all'inizio degli anni Ottanta. Ma ora, a ripensarci, è quasi inevitabile un crampo di malinconia, dopo trent'anni di identità forti, di identità presuntuose, arroccate, indispettite, che nel mondo ne hanno combinate di tutti i colori. Pulizie etniche, fondamentalismi religiosi, muri per escludere l'altro: la nostra nuova guerra dei Trent'anni.
E dunque, sono contento di aver letto, anche se in ritardo, questo libro di Gad Lerner, un uomo che un po' Zelig nella vita lo è stato, a lungo reso apolide dalle correnti della Storia ma non immune, come tutti, alla tentazione di voler piantare le radici anche lui, magari in una bella campagna del Piemonte (tranne poi ricordare che gli uomini mica sono vegetali: se mettessero radici, morirebbero).
Non poteva che essere lui - uomo che riconosce come sapore di casa sia l'hummous mediorientale che il Gefiltefisch mitteleuropeo - a scrivere questo libro che è una bella boccata di ossigeno, quanto a tolleranza. Anzi, di più: quanto a capacità di mettere liberamente in gioco la propria identità, arricchendosi delle identità altrui.
Perché poi c'è una cosa comune a tutti coloro che in questi anni hanno praticato l'abuso di identità:
Di questi tempi le identità collettive, per maledizione storica generalizzata, si fondano tutte sulla ricerca di un qualsivoglia passato anziché sull'aspirazione a un futuro.
E di un futuro invece abbiamo proprio bisogno.
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