Mi incuriosiva l’idea di leggere un
libro scritto dal mio dentista.
All'inizio, sono sincero, ho diffidato.
Cosa mi starà mai raccontando?
Il dentista, si sa, è colui che ti può
far male con spietata disinvoltura. È
colui che ti chiede: “Tutto bene?”, mentre hai un terrore folle
di soffrire come un cane. E se è una persona socievole, è colui che
si mette a parlare delle malefette del governo o dell'impresa della
tua squadra del cuore quando armeggia su un tuo dente, così che
oltre tutto devi anche resistere alla tentazione della conversazione.
Comunque è difficile raffigurarselo
come una persona che abbia qualcosa a che vedere con libri che non
siano manuali sulle nuove tecniche di implantologia. È
difficile soprattutto immaginarselo come uno che, una volta concluso
il suo lavoro, possa sedersi a un tavolino per raccontare storie. Che
poi, se non è un altro lavoro, bisognerebbe considerarlo come tale.
Apprezzarlo come tale.
“È
un libro di genere catastrofico…”, mi disse.
Mi sa che lì per lì ho reagito con
una sorta di sconsolata rassegnazione: ecco, lo sapevo, qualcuno
aveva comunque da soffrire.
Sono tornato a casa con gli effetti di
un'anestesia e la curiosità per quel manoscritto. E dopo le prime
pagine la curiosità è diventata altro: qualcosa che forse era la
smania di arrivare a vedere come sarebbe andata a finire; o piuttosto
era quel disorientamento che si prova quando siamo al cospetto di
situazioni estreme, che richiamano il senso ultimo del nostro cammino
su questo pianeta.
Di sofferenza ce n'è molta in questa
storia. Un giorno va via la luce e senza energia si blocca tutto ciò
che funziona nella vita di ogni giorno. Ma quale vita, dopo che nella
nostra vita non c'è più quello che siamo abituati ad avere?
Sorpresa, non è che si torni
semplicemente al mondo prima di Thomas Alva Edison, a quel mondo che
per secoli ha vissuto anche senza elettricità. Ci sono passi
indietro che, come a Monopoli, ti riportano al via. E anche peggio.
Un libro di genere catastrofico è
vero. Un libro sull'Apocalisse prossima ventura. Ma anche un libro
che più che su un futuro più o meno fantastico ci mostra la
fragilità della nostra civiltà e la nostra stessa intima fragilità:
millenni di storia alle spalle ed è così facile cancellare tutto.
Basterebbe ‘uno sputo del sole’-
dice uno dei personaggi - e l’uomo piomberebbe di nuovo nel
medioevo. O anche peggio.
E l'incubo non sono le tempeste
elettromagnetiche o le radiazioni. L'incubo è ciò che possiamo
diventare. L'incubo è la nostra umanità che si dilegua.
Tranne aggrapparsi a quel poco che
rimane. Fosse anche un sorriso, una promessa, un cenno di intesa.
Assicura il mio dentista che non è
finita qui. Che ci sarà un seguito, con altri due manoscritti già
nel cassetto.
Da parte mia non so cosa potrà
succedere poi. Spero di non dover perdere un altro dente per saperlo.
Spero che quella traccia di umanità che ancora resiste non si
smarrisca.
E faccio il tifo, come no.
(dalla mia prefazione a Erano tutte brave persone di Piercarlo Visconti, Romano editore)
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