domenica 17 giugno 2012

Incuriosito dal libro scritto dal mio dentista


Mi incuriosiva l’idea di leggere un libro scritto dal mio dentista.

All'inizio, sono sincero, ho diffidato. Cosa mi starà mai raccontando?
Il dentista, si sa, è colui che ti può far male con spietata disinvoltura. È colui che ti chiede: “Tutto bene?”, mentre hai un terrore folle di soffrire come un cane. E se è una persona socievole, è colui che si mette a parlare delle malefette del governo o dell'impresa della tua squadra del cuore quando armeggia su un tuo dente, così che oltre tutto devi anche resistere alla tentazione della conversazione.

Comunque è difficile raffigurarselo come una persona che abbia qualcosa a che vedere con libri che non siano manuali sulle nuove tecniche di implantologia. È difficile soprattutto immaginarselo come uno che, una volta concluso il suo lavoro, possa sedersi a un tavolino per raccontare storie. Che poi, se non è un altro lavoro, bisognerebbe considerarlo come tale. Apprezzarlo come tale.
È un libro di genere catastrofico…”, mi disse.

Mi sa che lì per lì ho reagito con una sorta di sconsolata rassegnazione: ecco, lo sapevo, qualcuno aveva comunque da soffrire.

Sono tornato a casa con gli effetti di un'anestesia e la curiosità per quel manoscritto. E dopo le prime pagine la curiosità è diventata altro: qualcosa che forse era la smania di arrivare a vedere come sarebbe andata a finire; o piuttosto era quel disorientamento che si prova quando siamo al cospetto di situazioni estreme, che richiamano il senso ultimo del nostro cammino su questo pianeta.

Di sofferenza ce n'è molta in questa storia. Un giorno va via la luce e senza energia si blocca tutto ciò che funziona nella vita di ogni giorno. Ma quale vita, dopo che nella nostra vita non c'è più quello che siamo abituati ad avere?

Sorpresa, non è che si torni semplicemente al mondo prima di Thomas Alva Edison, a quel mondo che per secoli ha vissuto anche senza elettricità. Ci sono passi indietro che, come a Monopoli, ti riportano al via. E anche peggio.

Un libro di genere catastrofico è vero. Un libro sull'Apocalisse prossima ventura. Ma anche un libro che più che su un futuro più o meno fantastico ci mostra la fragilità della nostra civiltà e la nostra stessa intima fragilità: millenni di storia alle spalle ed è così facile cancellare tutto.

Basterebbe ‘uno sputo del sole’- dice uno dei personaggi - e l’uomo piomberebbe di nuovo nel medioevo. O anche peggio.


E l'incubo non sono le tempeste elettromagnetiche o le radiazioni. L'incubo è ciò che possiamo diventare. L'incubo è la nostra umanità che si dilegua.

Tranne aggrapparsi a quel poco che rimane. Fosse anche un sorriso, una promessa, un cenno di intesa.

Assicura il mio dentista che non è finita qui. Che ci sarà un seguito, con altri due manoscritti già nel cassetto.

Da parte mia non so cosa potrà succedere poi. Spero di non dover perdere un altro dente per saperlo. Spero che quella traccia di umanità che ancora resiste non si smarrisca.

E faccio il tifo, come no. 

(dalla mia prefazione a Erano tutte brave persone di Piercarlo Visconti, Romano editore)

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