venerdì 15 luglio 2011

L'arte dello scrivere e il respiro

Se c'è un'arte dello scrivere io non la conosco, però ne conosco il mestiere, parola laica che mi aiuta a intendere il mio lavoro per ciò che è, un fare artigianale e quotidiano: metterti al tavolo ogni mattina senza troppi grilli sull'ispirazione, ascoltando invece l'insoddisfazione che ti abita ripetutamente quando ti accorgi che non funziona nulla di quanto hai scritto il giorno prima, quando non ti ritrovi nel modo e nel tono.
Per me scrivere è in gran parte tecnica dello scrivere


Beh, questo dice Daniele Del Giudice, in una bella riflessione pubblicata qualche tempo fa su La Domenica della Repubblica, titolo L'arte dello scrivere. Bella, certo, ma che mi convince poco. Chissà perché l'alternativa è sempre secca, la scrittura o è ispirazione che ti rapisce o è mestiere che reclama abilità e perseveranza artigiana.

E dunque, penso che l'insoddisfazione dello scrittore rispetto al suo lavoro sia cosa naturale, quasi doverosa. Sono meno convinto quando Del Giudice parla di un lavoro lungo, faticoso e a volte noioso perché è minuto e angariato dal dettaglio.

Fermo restando che perfino il grande Hemingway magari scriveva di getto (e nei fumi dell'alcool), ma dopo anche lui si faceva qualche problema - Mi chiesi che razza di scrittore ero se mi veniva bene già il primo racconto - possibile che la scrittura debba essere mestiere, e non piuttosto sguardo?

Intendo la possibilità di guardare con occhi diversi le cose del mondo e della vita. Di sorprendersi e di sentire qualcosa agitarsi dentro per quella sorpresa. Di sorprendersi per voi volerla condividere, quella sorpresa.

Diceva Henry Miller:

Direi che succede tutto negli attimi di calma, di silenzio, mentre cammini o ti radi o giochi a qualcosa, persino mentre parli con qualcuno che non ti suscita grande interesse... Tutto ciò che facciamo, tutto ciò che pensiamo esiste già, e noi siamo solo intermediari, ecco tutto, che pescano quel che c'è nell'aria


Il problema è accorgersi che si respira.

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