venerdì 27 maggio 2011

King, Carver, e quello che si farebbe per pubblicare

Il talento dello scrittore spesso gira su se stesso in modo innocente, ma gli scrittori le cui opere rilucono di introspezione e mistero nel loro privato spesso sono dei mostri ordinari

Fa effetto leggere su un giornale Stephen King che scrive di Raymond Carver, perchè Stephen King pare che su un giornale possa essere solo un argomento. Ma poi come si fa a non leggerlo? Come si fa a non inseguire la storia di Carver, questo mostro ordinario che sembrava vivere solo per perdere ogni occasione e bere fino alla morte?

Parlare di Raymond Carver oggi significa parlare anche del suo editor, Gordon Lish, che pare abbia imposto ai manoscritti cambiamenti tali da cambiare anche la sua pelle di scrittore, da proporre al mondo dell'editoria un altro scrittore (e non che l'altro, quello vero, non fosse bravo, ci mancherebbe). Fu un passaggio obbligato, accettare quei cambiamenti tramite i quali Carver divenne il grande minimalista della letteratura americana. Obbligato, perché Lish deteneva il potere di accedere alla pubblicazione.

Si chiede Stephen King:

Qualsiasi scrittore si sarà chiesto che cosa avrebbe fatto o farebbe in analoghe circostanze. Di certo, a me è capitato: nel 1973, prima che il mio romanzo fosse accettato per la pubblicazione, mi trovavo in difficoltà simili. Ero giovane, perennemente ubriaco, cercavo di mantenere moglie e due figli, scrivevo di notte, speravo in un'occasione.

Speravo in un'occasione. In fondo sta tutto in questa frase. E prima di tranciare giudizi: noi cosa faremmo, per aggrapparci a quell'occasione?


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