martedì 9 novembre 2010

Il poeta persiano che alzava la coppa di vino


O cuore, fa’ conto d’avere tutte le cose del mondo,
Fa’ conto che tutto ti sia giardino delizioso di verde,
E tu su quell’erba fa’ conto d’esser rugiada
Gocciata colà nella notte, e al sorger dell’alba svanita

È stato molte cose insieme, forse molte vite simultanee, Omar Khayyam, poeta persiano la cui biografia si perde nella notte della storia e della leggenda.

Poeta, ma anche astronomo, matematico, filosofo. Dicono che fosse raffinato e irascibile, indulgente e pigro, ironico e malato di nostalgia. Riverito da molti, insultato da tanti altri.

E c'è chi lo ricorda come la voce di un Islam tollerante, chi come un miscredente che amava il vino e i piaceri più effimeri, chi come un mistico che, come tutti i mistici, sfugge al giudizio esatto, quello che intende definire e incasellare.

Molte cose, davvero. Ma nelle circa duecento quartine che ci ha lasciato (moltissime altre gli sono state attribuite nel tempo) c’è soprattutto l’uomo che si interroga, l’uomo che si mette a nudo per afferrare il senso del suo cammino su questa terra.

La sua voce ci arriva da lontano e ci accompagna ancora oggi, come quella dell’amico con cui è facile condividere, la parola, il brindisi, il silenzio. Per poi abbandonarsi pacatamente alla vertigine del tempo che passa.

Poiché non sono verità e certezza in nostro possesso,
Non si può con speranze dubbiose aspettare tutta la vita.
Il palmo della mano non deve lasciare la coppa del vino.
In tanta ignoranza dell'uomo che importa esser sobri o ebbri?

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