sabato 3 luglio 2010

Che futuro per il paese che maltratta le biblioteche?

Metto le mani avanti: questa non è una lamentazione da tipo di biblioteca. Non passo le mie giornate tra archivi e tomi polverosi, non sono un addetto ai lavori. Ma di questo sono assolutamente convinto: una paese che non cura le sue biblioteche, che non ne tiene di conto con la massima attenzione, è un paese che ha poco futuro (e direi anche un futuro che mi piace assai poco).

Vale per la biblioteca di paese e di quartiere, che rappresenta in ogni caso uno straordinario "investimento in umanità", vale per realtà che sono vere e proprie istituzioni che racchiudono, tutelano, promuovono, consegnano al futuro (o almeno dovrebbero fare tutto questo) la nostra cultura.

Eppure che cosa è rimasto della Biblioteca Nazionale di Firenze ce lo ha raccontato in questi giorni Laura Montanari, sulle pagine di Repubblica:

I libri non li spolverano più da quattro anni perché mancano i soldi per farlo. Per la stessa ragione hanno cancellato decine di abbonamenti a riviste e tagliato gli acquisti di volumi stranieri. Da tempo è anche sospesa la conversione del catalogo da cartaceo ad elettronico col risultato che, di sei milioni di libri, soltanto due e mezzo sono i titoli online. Gli altri si ricercano come nel secolo scorso, scorrendo a mano gli schedari. Il declino della Biblioteca Nazionale di Firenze è scritto sui muri di certi corridoi, dove l'intonaco porta ancora l'ombra delle luci al neon levate dieci anni fa. Nei magazzini di questa che è la più grande biblioteca italiana giacciono parcheggiati 200mila volumi che aspettano di essere catalogati dal personale che non c'è perché, dei 500 dipendenti che lavoravano qui negli anni Novanta, di economia in economia, oggi ne sono rimasti 195 con un'eta media che vira ai sessanta...

Può bastare? Aggiungo solo che ora anche la stessa direttrice, Antonia Ida Fontana, ha deciso di andarsene, in sostanza per disperazione.

E lo so che c'è la crisi, che i soldi non ci sono, che tocca tagliare, che è dura scegliere tra un asilo di nido, un ospedale e una biblioteca. Ma che rabbia, in questo paese di sprechi, di appalti gonfiati, di tasse evase, di lavori inutili, che rabbia: magari riusciremo a pagare il ponte sullo Stretto, ma non saremo in grado di costruire nessun ponte per consegnare il nostro futuro, il nostro presente, ai giorni che verranno.

1 commento:

  1. La rabbia cresce quando si pensa tagliare in cultura è completamente antieconomico. L'Italia non potrà più essere manifatturiera e se ci vogliamo salvare dal declino servono idee, creatività, innovazione (non solo tecnologica) e quindi cultura. Andrea

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