All'origine di tutto ciò che posseggo c'è l'alfabeto.
Così comincia questo suo nuovo libro Giovanni Lindo Ferretti, reduce di molte cose che oggi non riconosce più sue, una volta cantante simbolo di diversi gruppi, un mondo girato di concerto in concerto per poi rifugiarsi in un altro mondo, un mondo antico, direi ancestrale, tra le rocce, i pascoli, i villaggi dell'Appennino.
L'alfabeto prima di tutto, dice Ferretti. E l'alfabeto si fa voce, in Bella gente d'Appennino, un libro che non riesco a immaginare come parola scritta, depositata sulla pagina. Piuttosto è nenia, è racconto da veglia al camino in una notte di freddo, è poesia, ma poesia qual'era quella dei montanari di una volta, poesia che si brucia in un istante, scintillio di bellezza, parola che scaccia parola. Parole di altre genti, che non abitano i nostri tempi.
Non posseggo molte parole, ma queste poche sono mie, le ho ricevute, le vivo e riscrivo e solo la morte sigillerà il racconto. Ne faccio commercio, ne faccio dono. Le riconsegno.
E ce le riconsegna con questo libro, Ferretti, racchiudendo in esso storie e gesti antichi, ricordi che risalgono le genealogie, radici non spezzate, odori e sapori, mestieri andati, bestie e uomini.
Un canto antico che sa di sudore e di stalla, una canto che si rinnova, quasi un fragile miracolo.
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